Tremonti: “Ai mercati daremo un segnale forte manovra ok in una settimana”

by Sergio Segio | 11 Luglio 2011 6:50

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ILLUDIAMOCI pure. Sforziamoci di credere che il vertice straordinario di questa mattina a Bruxelles tra le più alte cariche di Eurolandia (Von Rompuy, Barroso, Trichet e Juncker) non sia stato convocato per discutere del “caso Italia”. Ma da venerdì sappiamo che l’allarme tricolore, in Europa, è ormai suonato. Sul piano internazionale, si tratta di capire se e come sarà  possibile disinnescarlo. Sul piano nazionale, si tratta di evitare che il fallimento politico di un governo ormai impresentabile si trasformi nella bancarotta di un intero Paese. Non siamo alla soglia di un altro 1992, quando un’Italia schiantata dal peso del suo debito pubblico fu distrutta dalla speculazione.
aLLORA la lira uscì dallo Sme e fu pesantemente svalutata, e il governo Amato impose alla nazione una cura da quasi 100 mila miliardi di allora, con tanto di “scippo” notturno sui depositi bancari. Ma da allora ad oggi la differenza più rilevante riguarda solo l’esistenza dell’euro, che finora ci ha salvato da un collasso sistemico. Per il resto, il debito ha ricominciato a salire, Berlusconi è il premier più screditato dell’Unione e nella sentenza d’appello sul Lodo Mondadori, la Corte lo ha giudicato ufficialmente colpevole (ancorché prescritto) di aver costruito il suo impero televisivo-informativo comprando una sentenza attraverso una tangente di 400 milioni di lire pagata ad un giudice. E la sua maggioranza è un esercito in disfacimento, mascariato da un manipolo di ministri litigiosi e parlamentari inquisiti. L’economia affonda: crescita zero, occupazione zero, competitività  zero. In questo quadro sconfortante, l’unica speranza di evitare il disastro, già  dalla riapertura dei mercati di questa mattina, è affidata a una manovra da 40 miliardi che dovrebbe portarci al pareggio di bilancio entro il 2014. E’ una manovra piena di buchi neri, affidata per buona parte a una legge delega sul fisco di cui non si conoscono i tempi e non si capiscono i contenuti. Ma sul piatto non c’è nient’altro. E allora tanto vale ingoiare questa minestra riscaldata e un po’ rancida. Nella speranza che basti a placare la fame degli speculatori globali.
Chi ha davvero a cuore i destini del Paese è ben consapevole della drammaticità  del momento. E si sta muovendo, per mettere in sicurezza l’impegno, sottoscritto con la Ue, di raggiungere il pareggio di bilancio nel prossimo triennio. Il “triangolo istituzionale” che opera, in momenti come questo, conta su due lati solidi. Il primo è il Quirinale. In queste ore il presidente Napolitano sta rafforzando la sua moral suasion, già  avviata nei giorni scorsi, per richiamare tutti «al senso di responsabilità ». Già  venerdì scorso, nelle stesse ore in cui partiva sui mercati l’attacco ai titoli italiani, a Loveno di Menaggio sul Lago di Como, Napolitano aveva compreso i rischi che il Paese stava correndo dalle parole sussurrategli dal “collega” Christian Wulff, presidente della Repubblica federale tedesca: «Non dovete desistere dal rigore; quando ero presidente della Bassa Sassonia ho tartassato i miei elettori, che volevano inseguirmi con il forcone. Ma alla fine mi hanno ringraziato…».
All’Italia è richiesto lo stesso sacrificio. Per questo il presidente della Repubblica ha avviato un giro di consultazioni a tutto campo. «Maggioranza e opposizione devono concordare sulla necessità  di conseguire l’obiettivo del pareggio di bilancio. Voglio che questo obiettivo non sia messo in discussione da nessuna parte politica…». Le risposte, per ora, sono confortanti. Bersani e Casini, con il “patto di Bologna”, sono pronti a fare la loro parte. Di Pietro rafforza il suo nuovo profilo “moderato”, dichiarandosi disponibile a collaborare.
Il secondo lato solido del triangolo è la Banca d’Italia. Chi parla in queste ore con gli uomini di Via Nazionale ne trae indicazioni preziose. Mario Draghi e il direttorio partono dalla premessa che quanto sta accadendo sui mercati ha un’origine nelle incertezze dei leader europei di fronte alla crisi della Grecia. Troppe esitazioni sulla gestione degli aiuti, troppe indecisioni sul coinvolgimento o meno dei privati intorno al “bailout” per Atene. Ma il governatore e la sua squadra non si nascondono che il problema specifico dell’Italia esiste eccome. La rissosità  e l’instabilità  della maggioranza sono un richiamo forte per la speculazione. In più, cominciano a venire al pettine i nodi della manovra. Il pareggio di bilancio è un «imperativo categorico», ed averlo riconfermato ha un significato forte. Ma ora, si dice a Palazzo Koch, la manovra andrà  rivista e rimpolpata al più presto, e con misure credibili, che diano garanzie sulla reale consistenza degli interventi di risanamento. In caso contrario, sarà  difficile resistere all’assalto delle “locuste”. Venerdì scorso siamo andati a un passo dal baratro, e Via Nazionale ha dovuto muoversi per evitarlo. Ma che succederà  nei prossimi giorni? Domani ci sarà  un’asta dei Bot annuali da 6,7 miliardi. Giovedì sarà  un test più importante, con un collocamento di Btp decennali e quinquennali. L’agenda del debito pubblico è impegnativa, e culminerà  a settembre con tre aste di titoli a medio lungo termine, per importi superiori ai 20 miliardi. L’auspicio di Via Nazionale è che ci si arrivi con la manovra pluriennale approvata, e, se possibile, rinforzata dal punto di vista qualitativo.
Quello che rende improbabile la speranza, tuttavia, è la debolezza assoluta del terzo lato del triangolo: il governo. Il presidente del Consiglio, dopo il comunicato di venerdì scorso successivo al pranzo con il ministro del Tesoro, è di nuovo scomparso dalla scena. Ha evitato di intervenire telefonicamente ad una delle solite iniziative domenicali della sua maggioranza. E per certi versi è stato un bene: invece di rassicurare il Paese, avrebbe dato fuoco alle polveri, attaccando a testa bassa i giudici per la sentenza esemplare che lo certifica «corruttore» e lo obbliga a pagare 560 milioni alla Cir. Il suo non è dunque un gesto di responsabilità , ma solo il segno di una disperazione dalla quale non sa come uscire. Resta Giulio Tremonti, allora, a difendere la “sua” manovra. Assediato sulla stangata a orologeria, accusato di aver tenuto al suo fianco come collaboratore quel Marco Milanese di cui ogni giorno si scoprono nuovi malaffari, sospettato di aver abitato nella casa di quest’ultimo, con un affitto pagato non si sa a che titolo, Tremonti è amareggiato. Molto più di quanto non dicano le sue esternazioni pubbliche. «Non ho nulla da temere. Non sono mai stato sfiorato da uno schizzo di fango…». E anche sulla manovra da 40 miliardi si mostra fiducioso: «Chi ci chiede di fare di più, o di anticipare ad oggi le misure previste per il prossimo triennio, non ha capito nulla. Se lo facciamo ci suicidiamo: ammazziamo il Paese. La verità  è un’altra. Ai mercati daremo un segnale forte. E sa qual è? Il fatto che la manovra è blindata, e sarà  approvata dal Parlamento in una settimana. Una cosa che nella storia d’Italia non è mai accaduta…». Anche Tremonti confida insomma nel «senso di responsabilità » al quale fa appello Napolitano. Ma resta un’incognita, gigantesca. Al di là  del cordone sanitario imbastito intorno al Paese dai suoi due più autorevoli organi di garanzia, questo governo non è credibile. Non lo è mai stato. Ma oggi è ancora peggio. Anche il ministro che ha tentato in modo colpevolmente tardivo di incarnare la virtù del rigore, con l’inchiesta di Napoli appare umanamente provato e politicamente indebolito. Lui continua a resistere, forte dell’unica sponda alla quale si può appoggiare, cioè quegli stessi mercati che da “filosofo” ha sempre esecrato: «Venerdì, con l’attacco all’Italia, si è toccato con mano qual è il “costo politico” di Giulio Tremonti: dimissionatemi pure, e vedrete cosa succede ai titoli di Stato…». Probabilmente ha ragione lui. Ed è per questo che Napolitano e Draghi esigono che questa manovra, pur con tutti i suoi difetti, arrivi al traguardo senza troppi danni. Ma una politica non si può reggere sui ricatti. E c’è anche chi obietta che la manovra, con la sua irrinunciabilità  e la sua intangibilità , sia un’arma spuntata. Vista la dinamica del venerdì nero, lo sostiene più di un operatore di Borsa: «Ma quale manovra da salvare! Se Berlusconi saltasse domattina, sui mercati sarebbe una festa, e lo spread crollerebbe al minimo storico …». È sicuramente un paradosso. Ma rende bene l’idea di quale sia la credibilità  di questo governo presso la business community.

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