by Sergio Segio | 14 Luglio 2011 6:38
ROMA – Fino a ieri Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, parlava di privatizzazioni per criticarle. Da ieri sono le privatizzazioni la carta che può rendere più credibile agli occhi degli investitori internazionali la manovra economica di risanamento. Con un debito pubblico ormai al 120 per cento del Pil, e con una crescita dell’economia che proseguirà in maniera stentata, quella della dismissione delle partecipazioni pubbliche è la strada obbligata. Tremonti ha introdotto una semplificazione delle procedure rispetto a quelle seguite nei primi anni Novanta, pur mantenendo determinate garanzie. Lo Stato potrà andare direttamente sul mercato – senza più le precedenti autorizzazioni – quando le condizioni saranno favorevoli. Ma i tempi potrebbero non essere velocissimi: il via libera a uno o più piani di privatizzazioni – secondo quanto prevede l’emendamento al decreto della manovra – potrà arrivare entro la fine del 2013. Abbastanza, tuttavia, per far apprezzare la mossa dalla Confindustria.
Di certo è un cambio di rotta, o almeno di orientamento, nella strategia del governo se si pensa che nello stesso Documento di economia e finanza (il nuovo Dpef) il tema delle privatizzazioni è sostanzialmente ignorato. Nel 2010 anno in cui – secondo il tradizionale rapporto sulle privatizzazioni curato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei e da Kpmg – la Francia iper-statalista ha incassato 10,5 miliardi dalle dismissioni, noi ci siamo fermati alla vendita del 30 per cento di Enel Green Power per 2,6 miliardi di euro. «Dobbiamo certamente mettere inizio a un processo di privatizzazione, passata la crisi che ha bloccato tutto», ha detto Tremonti nel suo intervento all’assemblea dell’Abi dove ad ascoltarlo c’era anche il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, regista, come direttore generale del Tesoro, delle privatizzazioni, realizzate dai governi Amato, Ciampi e Prodi, assai criticate dal ministro spesso proprio in funzione anti-Draghi. Acqua passata di fronte alla gravità della nuova crisi.
In ballo ci sono potenzialmente miliardi di introiti. Perché si possono vendere le Poste (qualche anno fa si stimava che dalla dismissione del 50 per cento di sarebbero ricavati circa 4 miliardi), le Ferrovie, ancora totalmente controllate dallo Stato. E l’Alta velocità è un business molto redditizio. Vale tra gli otto e i dieci miliardi di euro. Con l’ad Mauro Moretti che vuole andare in Borsa. Ci sono la Rai, la Sace, l’Enac. E poi frazioni per quanto molto ridotte delle quotate Eni («è una decisione che spetta all’azionista», si è limitato a dire ieri il presidente del “Cane a sei zampe”, Giuseppe Recchi), Enel, Finmeccanica, che in questi decenni, attraverso i generosi dividendi, hanno sostenuto eccome le casse dello Stato. Che è ancora “padrone”, seppure ridimensionato.
Per non parlare del nuovo pervasivo “capitalismo municipale”, quello dei servizi locali, dall’acqua, ai trasporti; dalla gestione del ciclo dei rifiuti all’elettricità . Ci sono più di un migliaio di imprese di dimensioni medio grandi con oltre 250 mila dipendenti. Ma se si considerano anche le micro aziende si supera l’asticella delle cinquemila unità . Le possiedono tutti: i Comuni, le Province, le Regioni e via dicendo. In media ciascun ente a tutti livelli ne controlla circa 7,5. È un pezzo di capitalismo italiano gestito molto male. Secondo una ricerca a più mani (“Comuni spa. Il capitalismo municipale in Italia”, edita dal Mulino), sono in perdita il 70 per cento delle imprese pubbliche locali delle regioni meridionali, la metà di quelle del centro Italia, e il 30 per cento di quelle del nord. Dalla privatizzazione di molte di queste aziende, che quasi sempre operano in condizioni di monopolio, si potrebbero ricavare – stando ad alcune stime – tra i 30 e i 35 miliardi. D’altra parte è proprio da qui che Tremonti pensa di cominciare. «I Comuni – ha detto ieri – saranno spinti a vendere gli asset da meccanismi di incentivi e disincentivi introdotti nel patto di stabilità . Prenderanno di meno se potendo non fanno e prenderanno di più dal mercato se fanno. Ovviamente non potranno usarlo per la spesa corrente». Saranno comunque esclusi – l’ha detto lo stesso ministro – i servizi idrici dopo il netto risultato all’ultimo referendum. «Naturalmente – ha concluso l’ “antimercatista” Tremonti – c’è bisogno di qualcuno che compra e non si può privatizzare a prescindere dal mercato».
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