Tel Aviv blocca la «air flottilla»

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Israele avrebbero individuato, o con più probabilità  ha ottenuto dai paesi occidentali alleati, i nomi di centinaia di attivisti della cosiddetta «Flotilla aerea» che tra ieri sera e questa mattina hanno raggiunto l’aeroporto «Ben Gurion» di Tel Aviv per manifestare solidarietà  e sostegno al popolo palestinese nel settimo anniversario della sentenza di condanna di Israele da parte della Corte di Giustizia dell’Aja, per la costruzione del Muro in Cisgiordania e intorno a Gerusalemme Est. Almeno 300 nomi erano sull’elenco dei servizi segreti di Israele, riferiva ieri il sito del quotidiano Haaretz, chiamati dal premier Benyamin Netanyahu ad intervenire per far fallire la nuova iniziativa internazionale a favore dei palestinesi sotto occupazione militare. Israele, grazie alla complicità  della Grecia (e di altri paesi europei), è gia riuscito ad impedire la partenza per Gaza della Freedom Flotilla «Stay Human» e conta ora di bloccare e deportare immediatamente verso i paesi di origine gli attivisti che nelle scorse ore sono giunte al «Ben Gurion». Due giorni fa sono già  stati espulsi 5 internazionali giunti in anticipo in Israele. Ieri sono state le stesse guardie di frontiera francesi ad ostacolare, con vari sistemi, la partenza per Tel Aviv degli attivisti d’oltralpe.
I media israeliani scrivevano ieri che gli internazionali avrebbero dichiarato a Tel Aviv di voler far visita ad amici palestinesi nei Territori occupati mentre il loro vero obiettivo sarebbe quello di inscenare in aeroporto una chiassosa manifestazione di solidarietà  con i palestinesi di Gaza e Cisgiordania. «Non è vero – ha smentito Mazen Qumsiyeh, uno dei promotori della «Flotilla aerea» – non è prevista alcuna manifestazione in aeroporto. E’ una iniziativa totalmente pacifica, non aggressiva. Gli attivisti prima di partire si sono dichiarati a favore di una lotta non violenta… Sappiamo che la posta in gioco è alta, c’è un elevato rischio che le autorità  israeliane blocchino questi giovani. Ma almeno a livello internazionale si saprà  che Israele in un solo giorno ha rispedito illegalmente a casa centinaia di volontari». Tutti dichiareranno il vero, diranno di andare in Palestina per partecipare all’evento «Welcome to Palestine» che si svolgerà  dal 9 al 16 luglio 2011 in diverse città  e villaggi della Cisgiordania. Ma Israele intende usare ugualmente il pugno di ferro. «Come stato democratico sovrano, non permetteremo a questi hooligans di fare propaganda, fomentare proteste illegali e minare la pace del paese. Li rispediremo al loro paese di provenienza, secondo le convenzioni ed il diritto internazionale», ha avvertito il ministro della sicurezza pubblica Yitzhak Aharonovitch, un ultranazionalista, prima di ordinare il rafforzamento delle misure di sicurezza con l’invio all’aeroporto di Tel Aviv di centinaia di poliziotti e di unità  speciali anti-terrorismo. «Questi attivisti pro-Palestina che cercano di entrare via aria in Israele come controparte della Flotilla, non verranno fatti entrare…intendono dare vita a provocazioni per minare la legittimità  della nostra terra». «Non c’è nessun legame diretto tra la Flotilla e questi giovani» ha dichiarato Lubna Masarwa, parte dell’organizzazione dell’iniziativa, «non cerchiamo il confronto con Israele. Lo scopo è solo quello di andare nelle città  della Cisgiordania e di partecipare ad attività  assieme al popolo palestinese».
Tuttavia non tutti in Israele condividono la linea repressiva scelta dal governo israeliano, prima contro le navi della «Freedom Flotilla, Stay Human» e ora contro gli attivisti giunti all’aeroporto di Tel Aviv. Sul quotidiano Yedioth Aharonot, Eytan Haber, editorialista e collaboratore del premier Yitzhak Rabin assassinato nel 1995, si è chiesto se «non abbiamo perso la testa». Secondo Eytan, Israele dovrebbe accogliere cordialmente i manifestanti, permettendo a loro di manifestare. Dieci associazioni pacifiste israeliane – tra le quali l’Alternative Information Center, Gush Shalom e Rabbini per i diritti umani – hanno espresso una dura condanna per «la campagna di diffamazione» che il governo israeliano sta conducendo contro gli attivisti internazionali.


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