Susanna Camusso e il nuovo patto di palazzo Vidoni

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Il patto, da cui nasceva ufficialmente il sedicente «sindacalismo» fascista, non negava l’idea di classe. L’assumeva, anzi, e la faceva sua, per definire un contesto che oggi diremmo «concertativo» e disegnare una gerarchia. Agile e comprensibile, s’ispirava a un prototipo di «politica del fare», tornata ai suoi nefasti nel clima velenoso del dilagante «autoritarismo democratico». Cinque articoli: una parte sociale, sopravvissuta a se stessa solo perché accettava la cancellazione di tutte le altre, era riconosciuta come rappresentanza unica dei lavoratori da imprenditori che, in compenso, si appropriavano dei rapporti sindacali, ottenevano lo svuotamento della contrattazione e la conseguente sparizione delle Commissioni interne. Non si trattava di un complesso accordo sindacale, ma di un decisivo passo politico. Un sindacalismo di funzionari trovava la sua legittimità  nel riconoscimento della controparte e non in quello dei lavoratori, cancellava ogni altra sigla e – bere o affogare – non lasciava scelte ai lavoratori: aderire, per non subire la ritorsione.
Dopo l’accordo sindacale di ieri, Vico trova una clamorosa conferma e la civiltà  fa luogo nuovamente alla barbarie. Sacconi non vale Bottai, ma la lezione l’ha appresa bene: l’interesse nazionale coincide con quello dell’impresa e nel mondo del lavoro c’è una scala di valori. Meglio di lui, lo disse Mussolini: in azienda c’è solo la gerarchia tecnica. Oggi come ieri, in vista delle manovre «lacrime e sangue» di Tremonti, i colpevoli del disastro annunciato prodotto da un mercato che specula su stesso e mette la vita e i diritti della povera gente al servizio del Pil, si trova modo di vietare lo sciopero, si affida agli imprenditori il compito di certificare le deleghe e si riduce il contratto nazionale a una pantomima messa in scena per oscurare il peso decisivo di una contrattazione aziendale che potrà  legittimamente stravolgerne il contenuto a seconda degli interessi delle aziende. Si apre così l’era nuova del «sindacato nero». Peggio del peggiore corporativismo. Certo, manchiamo ancora di una «Carta del Lavoro» e beffardamente sopravvive a se stesso lo Statuto dei lavoratori, ma Susanna Camusso recita già  magistralmente il ruolo di Edmondo Rossoni e di un sindacalismo di classe mummificato: contenta di una rinnovata collocazione «privilegiata», non capisce, o finge di ignorare, che si è voltata pagina alla storia.
A partire dall’accordo del 28 giugno, se mai vorrà  provare a rifiutare il ruolo di cinghia di trasmissione delle scelte del capitale, se, per improvviso impazzimento, uscirà  dall’acquiescenza, la Triplice sindacale sarà  frantumata. In quanto rappresentanza unica dei lavoratori, non si è semplicemente piegata alla dottrina Marchionne. Ha accettato senza riserve l’intimo significato del pensiero di Alfredo Rocco che, qui da noi, fu alla base dello Stato totalitario: la proprietà  privata e il capitale hanno una funzione insostituibile nella vita sociale e il sindacato esiste solo per disarmare e addormentare i lavoratori.


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