Sul debito la palla torna a Obama

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NEW YORK — Adesso, dopo aver tenuto la Casa Bianca ai margini del negoziato parlamentare per oltre una settimana, i leader di Camera e Senato, non avendo trovato un accordo, rimandano la palla nel campo di Barack Obama: «Lui ci ha messo in questo vicolo cieco, respingendo l’ipotesi di compromesso che era emersa. Ed è lui che oggi deve dirci come pensa di uscirne» ha detto ieri, usando toni bruschi, il leader della maggioranza repubblicana alla Camera John Boehner.
Più morbido e costruttivo, al suo fianco, il capo dei senatori conservatori, Mitch McConnell: «Ho parlato un’ora fa col Presidente e col vicepresidente Biden. Sono pienamente impegnati in questo processo. Sono fiducioso: il nostro Paese continuerà  a pagare i suoi debiti, non ci sarà  default» . E infatti subito dopo Obama ha ricevuto i leader democratici di Camera e Senato per cercare una via d’uscita. A 48 ore dalla scadenza che, in assenza di una legge che autorizzi l’aumento del tetto del debito pubblico, potrebbe portare gli Stati Uniti all’insolvenza, al Congresso proseguono negoziati sotterranei febbrili quanto inconcludenti, mentre in pubblico i leader dei due schieramenti hanno continuato fino a ieri sera a «mostrare le loro bandiere» .
Dopo l’approvazione, venerdì, della proposta di legge repubblicana alla Camera, ieri il provvedimento è stato prontamente fatto colare a picco dall’altra Aula, a maggioranza progressista. Subito dopo, mentre la Camera bocciava la prima versione del piano che le era arrivato dall’altro ramo del Parlamento, il leader dei democratici al Senato, Harry Reid, ne ha messo a punto una versione riveduta e corretta e l’ha sottoposta all’assemblea. Voto fissato per l’una di notte, ma già  ieri nel tardo pomeriggio è diventato chiaro che la proposta di legge è destinata a infrangersi contro un muro, quando 43 senatori repubblicani hanno scritto a Reid che voteranno contro: il testo conquisterà , quindi, la maggioranza semplice (sempre che il 51esimo senatore democratico, Joe Manchin, non decida di unirsi all’opposizione). Forse Reid riuscirà  ad attirare qualcuno dei 4 senatori repubblicani che non hanno firmato la lettera del loro partito, ma non arriverà  alla maggioranza qualificata di 60 senatori su 100, necessaria a evitare l’ostruzionismo repubblicano.
Adesso l’attenzione si sposta di nuovo sulla Casa Bianca: emarginata in questi ultimi giorni, ma comunque indispensabile per un accordo. Ancora ieri mattina Obama aveva invitato, nel suo messaggio radiofonico del sabato, il Congresso a fare presto: «Non possiamo arrivare al 2 agosto senza accordo, non possiamo rischiare un default con conseguenze gravissime. Va trovata una soluzione che mi consenta di firmare un provvedimento entro martedì. E può essere solo una soluzione bipartisan, deve avere il supporto di tutti e due i partiti che rappresentano il popolo americano.
Le posizioni dei due fronti, nei negoziati dei giorni scorsi, non erano poi così lontane. C’era un accordo di massima sull’entità  della riduzione della spesa pubblica. C’era anche intesa sull’avvio di un processo di riforma del sistema tributario e degli entitlement (i sistemi previdenziali e sanitari pubblici, ndr). Ma è rimasto pochissimo tempo» . Da ieri sera il Presidente è tornato a rimboccarsi le maniche ma il dilemma resta lo stesso: puntare i piedi per avere un innalzamento del tetto di lungo periodo o accettare un compromesso momentaneo e ricominciare questa battaglia daccapo tra sei mesi?


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