by Sergio Segio | 26 Luglio 2011 8:09
ROMA – Ad Andria sono scesi in piazza anziani signori e mamme con bambini, a Macerata la protesta corre sul Web, malumori si levano dalla provincia di Massa Carrara fino ad Agrigento. L’oggetto del malessere è la Tarsu, tassa sui rifiuti solidi urbani, il balzello sulla spazzatura. Lo pagano tutti, nessuno ne parla nei sofisticati centri studi che preferiscono ragionare sulla pressione fiscale e sul prodotto interno lordo. Qui invece non centrano Fmi e Ocse: la mazzata viene dalle giunte comunali, di destra o di sinistra, in una raffica di rincari bipartisan che sta investendo, in questi giorni, molti degli 8 mila municipi italiani.
Il motivo del disagio sta in una cifra tonda, elaborata da un puntuale e tempestivo rapporto della Uil-Politiche territoriali: in tre anni, dal 2008 e il 2010 il rincaro medio nelle venti città capoluogo di Regione è stato del 7,6 per cento. Significa che una famiglia media, di quattro componenti, che vive in una appartamento medio di 80 metri quadrati e che ha un reddito imponibile Irpef di 36 mila euro, tre anni fa si vedeva recapitare una bolletta di 194 euro e oggi deve sborsare 209 euro, circa 15 euro in più.
Ma questa è solo la media, che tiene fuori la molteplicità dei microcomuni che spesso con la Tarsu non scherzano. E anche tra capoluogo e capoluogo le differenze si fanno sentire: il caso clamoroso e imbarazzante è Napoli. In tre anni la Tarsu è cresciuta del 48 per cento e il cittadino medio, sommerso dai rifiuti e dalle rivolte, paga 336,80 euro all’anno, la cifra più alta tra i capoluoghi. Roma e Venezia in quattro anni hanno messo a segno aumenti vicini al 30 per cento. «Sono colpiti principalmente lavoratori dipendenti e pensionati. Invece di aumentare le tasse bisognerebbe tagliare i costi della politica», osserva Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil.
La raffica di rincari, scattati dal 2008, ha una ragione: in quell’anno il governo bloccò le addizionali comunali e gli incrementi dell’Ici ma lasciò le mani libere ai Municipi per la tassa sull’immondizia. Così sono scattati gli aumenti a mitraglia.
Ma non è finita, stretti dai tagli di Tremonti, i Comuni stanno nuovamente mettendo mano alla famigerata Tarsu. Città , sporche o pulite che siano, rispondono ad una sola parola d’ordine: aumentare. Così è pronta a farlo Milano, se ne discute a Palermo, mentre Roma ha già deliberato un aumento del 12 per cento rispetto al 2010 (in media si pagano già 317 euro), Venezia ha raggiunto i 325 euro medi (+ 23,6 per cento rispetto al 2010), Aosta ha già deliberato per il 2011, rispetto all’anno precedente, un aumento del 9,3 per cento, Trento del 9,3 per cento, Genova del 6,5 per cento ed anche Bologna non ha rinunciato a mettere nero su bianco un contestato rincaro del 5,1 per cento.
Chi spulcia nei bilanci sa, inoltre, che sulla Tarsu gravano altre tasse: il 10 per cento dei defunti Eca (enti comunali di assistenza) e un occulto prelievo provinciale. La longa manus fiscale delle province, enti per molti destinati a sparire, fa gravare sull’importo della Tarsu una sovratassa che va dall’1 al 5 per cento e si chiama Tributo per l’esercizio della funzione ambientale (Tefa). Ebbene la stragrande maggioranza delle province (86 amministrazioni su 106) applica l’aliquota più alta.
Per 5,8 milioni di contribuenti oltre al danno di pagare sempre di più anche la beffa di aver pagato indebitamente e di non essere stati ancora rimborsati. Molti comuni, infatti, invece di far pagare la Tarsu, che è una tassa, impongono la Tia (o Tari) che è una tariffa e su questa fanno pagare l’Iva. La Corte costituzionale, nel luglio scorso, ha stabilito che la Tia è semplicemente una tassa mascherata e dunque su di essa non può gravare l’Iva. Il conto è di 933 milioni, 161 euro pro capite, che 1.193 Comuni del Centro Nord dovranno restituire.
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