Serravalle, affari e politica «C’è una mucca da mungere»

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Già , perché in quelle chiacchierate telefoniche lo stesso Belloni parlava con Bruno Binasco, braccio destro di Marcellino Gavio (unico socio privato della Serravalle) di «noccioline» e «latte di vernice» . Termini ricorrenti nei faldoni storici di Tangentopoli, dove per altro già  Bruno Binasco compariva, finito sotto le grinfie dell’allora pubblico ministero Antonio Di Pietro a dare conto delle tangenti pagate anche a Bettino Craxi. Penati aveva individuato il problema: «Gavio è un ostacolo alla legalità  in Serravalle» . Intanto, Binasco aveva già  detto a Gavio che «il problema non è Penati, con lui un accordo lo si trova» . In effetti, il 30 giugno 2004 (l’ex sindaco di Sesto San Giovanni si è da poco insediato a Palazzo Isimbardi), «Bersani dice a Gavio che ha parlato con Penati… Dice a Gavio di cercarlo per incontrarsi in modo riservato» . Il segretario del Pd si è giustificato: «Il ministro delle Attività  produttive conosce tutti i principali imprenditori italiani. Li conosce, non li sceglie» . Ma contrariamente a quanto sostenuto nella lettera al Fatto, all’epoca delle intercettazioni che lo riguardano Bersani (ministro dal ’ 96 al 2001, e poi ancora dal 2006 al 2008) era all’Europarlamento.
Comunque sia, il 5 luglio Penati fa squillare il cellulare di Gavio per fissare l’incontro in un hotel romano. L’anno dopo, l’imprenditore di Tortona si arricchisce rivendendo a Penati parte delle sue quote di Serravalle a un prezzo che è più del doppio di quello a cui le aveva comprate. Intrecci a non finire, storie di mazzette e indagini.
Milano-Serravalle, fondata nel 1951, gestisce 180 chilometri di autostrade e tangenziali, ha un capitale sociale di 93 milioni di euro, progetti milionari in vista, partecipazioni in Pedemontana, Tem e nelle altre società  strategiche per il sistema viario del nord. Socio di maggioranza è oggi la Provincia di Milano, grazie all’operazione appena tornata sotto i riflettori: nel giugno 2005, Penati acquista il 15 per cento del pacchetto di Gavio pagando 8,973 ogni quota che a Gavio era costata 2,9 euro. Il costruttore aveva così incassato un utile netto di 179 milioni di euro.
L’ex sindaco Gabriele Albertini, che in quegli anni si era già  contrapposto a Ombretta Colli, predecessore di Penati, per evitare la scalata di Gavio in società , aveva poi cominciato a menar fendenti contro il diessino. Due i punti contestati: si comincia con il prezzo non congruo dell’acquisto, confermato anche da una perizia presentata dagli advisor assunti dalla società  per un’analisi in vista della possibile quotazione in Borsa. L’allora presidente Bruno Rota aveva comunicato che la forbice fissata dai periti per il valore di ogni azione era tra 4,9 e 5,6 euro. Sparisce la perizia e pochi mesi dopo viene silurato anche Rota (che si era messo di traverso alla gestione della presidente Colli e del suo assessore Luigi Cocchiaro, voluto anche da Penati alla guida della spa e che era rimasto senza incarichi dopo questa vicenda).
Seconda contestazione messa in denuncia da Albertini è la non necessità  di acquistare: la maggioranza pubblica di Serravalle era infatti all’epoca garantita dal patto di sindacato sottoscritto fra Provincia e Comune. E un assessore dell’allora giunta Albertini, Giorgio Goggi, aveva riferito al sindaco di aver saputo da Gavio che quell’operazione era stata benedetta dai vertici ds. Albertini mette in fila gli eventi: «Poco tempo dopo aver venduto le azioni di Serravalle incassando un utile di 179 milioni di euro, Gavio aveva messo 50 milioni nella cordata che avrebbe acquistato Unipol» .


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