Senza famiglia, il villaggio dei divorziati

by Sergio Segio | 4 Luglio 2011 6:01

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ROMA. «Papà , stanotte guardiamo le stelle?». Bruno sorride e dice sì. La serata è limpida, il vento ha portato via l’afa, e il telescopio enorme e bellissimo ingombra l’intero salotto del mini appartamento nel “condominio” dei papà  separati. Ci sono i fiori, le porte aperte, i vasi di gerani e di girasoli. «Quando i miei figli vengono qui nel weekend è sempre una festa. Ora la scuola è finita e possiamo fare un po’ più tardi… Stasera ceneremo con il mio amico Sergio e la sua bambina che abitano qui accanto, poi domani gita al lago tutti insieme. Ho passato tutta una vita in teatro: Eduardo, Gassman, compagnie su compagnie, ovunque mi trovo “faccio famiglia”. Dopo la fine del mio matrimonio, per 4 anni non ho più avuto né una casa né una stanza dove portare i miei figli, non potevo permettermi nemmeno un monolocale».
«Sono dovuto tornare a Napoli dai miei genitori – continua Bruno – ho perso il lavoro, mi sono ammalato. Non riuscire a vedere i bambini è stata una sofferenza enorme, per me e per loro. Poi mi sono messo in lista, da un mese sono approdato nella casa dei papà  e finalmente ho trovato un’ancora».
Bruno, che faceva il direttore di scena nei più grandi teatri italiani. Sergio, veterinario. Giancarlo, cuoco in un hotel a 4 stelle. E poi carabinieri, poliziotti, insegnanti, ingegneri, artigiani: padri separati, ex mariti, avevano redditi medi o da benestanti, dopo la crisi delle loro unioni sono diventati “nuovi poveri”, hanno vagato tra amici, parenti, dormitori. Impossibile pagare un affitto se dopo aver versato il mantenimento per i figli e magari una rata di mutuo restano nel portafoglio 300, al massimo 500 euro. E la fine di un amore diventa così anche una catastrofe economica.
Roma, Casal Monastero, estrema periferia nordest della Capitale. Si deve superare un inferno di traffico e cantieri per arrivare in quest’area di urbanizzazione nuova dove resiste un residuo pezzo di campagna. È qui, nel residence Torre di Pratolungo, che due anni fa è stata inaugurata la casa, anzi il “condominio dei papà ” del Comune di Roma, il più grande d’Italia. Venti appartamenti autonomi, ognuno dotato di salotto, camera da letto, bagno, angolo cottura e un piccolo spazio esterno in un giardino comune. Sono 4 milioni i padri separati in Italia, e, di questi, secondo le stime della Caritas, 800mila sono precipitati nella povertà  dopo aver lasciato la casa coniugale. Uomini con redditi e professioni stabili, da 1600-2000 euro al mese, e che oggi affollano mense e dormitori pubblici. Ma che soprattutto non hanno più uno spazio protetto dove poter stare con i loro figli, perché nel 90 per cento dei casi di separazione nella casa di famiglia restano a vivere la moglie e i bambini. Così in tutta Italia sono nate in pochi anni decine di case dei papà , ostelli, miniappartamenti, condomini, gestiti dagli enti locali, ma anche da associazioni private o religiose, a Bolzano, Roma, Milano, Savona, Venezia. Alcune strutture sono riservate ai padri. Altre, come a Trento, ai genitori (sia madri che padri) in difficoltà .
«Ogni papà  qui paga 200 euro di affitto al mese, può restare un anno o poco di più», spiega Ilaria Perulli della cooperativa romana Un sorriso. Per accedere, bisogna fare la domanda al municipio di appartenenza dimostrando di avere un reddito Isee al di sotto di una certa soglia. «La casa è una specie di luogo della tregua, dove uomini che sentono di aver perso tutto trovano finalmente un po’ di pace» spiega Perulli. «E una volta al mese, ma in estate si raddoppia, facciamo laboratori per i bambini: con i padri, ma anche le madri, i nonni…». Aggiunge Sveva Belviso, assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma: «Presto gli appartamenti diventeranno 30, la richiesta è altissima e siamo di fronte a un’emergenza sociale. A differenza delle madri, per i padri non esisteva nulla».
Sergio ha 48 anni e fa il veterinario. Il suo appartamento è curato: quadri, libri, piante, una cucina per le bambole e il frigorifero ben fornito. «Mia figlia dice che questa è la casa dei cento gatti. Ha fatto subito amicizia con i bambini degli altri papà . Mia moglie e io ci siamo separati serenamente, eppure a settembre scorso, quando ha lasciato casa, mi sono sentito un profugo. La separazione è arrivata proprio nel momento in cui stavo facendo un salto nel lavoro e avevo messo su, con un socio, un ambulatorio veterinario… Ero pieno di debiti, disperato, e se non fosse stato per la straordinaria solidarietà  di molti amici non avrei avuto un rifugio dove dormire, e nemmeno dove incontrare mia figlia». Sergio è arrivato nel “condominio dei papà ” a febbraio. «All’inizio mi è sembrato strano approdare in periferia, vengo da corso Trieste, un quartiere borghese, da una vita benestante. L’appartamento era freddo, ho cercato subito di renderlo accogliente perché mia figlia si sentisse a casa. Ogni mattina attraverso la città , vado a prenderla e la porto a scuola. Poi, nei giorni di festa, nei weekend sta con me. Tra noi padri del condominio sono nate belle amicizie. È una strana comunità , un po’ scherzosa, un po’ da compagni di sventura. C’è chi è più arrabbiato, chi più sofferente, chi più sereno. Ma quello che inasprisce anche le situazioni più lievi è il dramma economico».
«Ormai è evidente in tutto il mondo occidentale che la separazione impoverisce gravemente la famiglia» osserva Milena Pini, presidente dell’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia (Aiaf). «I problemi però sono su entrambi i fronti, perché se è vero che per i padri diventa un dramma trovare un alloggio, è vero anche che spesso le madri devono fare battaglie durissime per avere ciò che spetta loro per mantenere i figli. In questi casi dovrebbe essere lo Stato ad anticipare l’assegno di mantenimento, rivalendosi poi sul genitore inadempiente». Una prassi già  attiva a Bolzano, dove la Provincia si fa carico dell’assegno se il genitore non paga. E proprio a Bolzano è nata nel 2004 la prima “comunità ” per padri separati. «Tra pochi giorni», anticipa Elio Cirimbelli, fondatore e direttore dell’Asdi, centro di assistenza ai separati e divorziati «questa struttura chiuderà  e inaugureremo dei veri e propri appartamenti per dare più privacy ai genitori e ai figli. È per tutelare i bambini che nel 2004 abbiamo fondato le nostre microcomunità . E poi non avere un posto dove accogliere i propri figli dopo la separazione può addirittura portare il giudice a impedire gli incontri perché manca un luogo ritenuto idoneo».
Giancarlo fa il cuoco e guadagna 1600 euro al mese. Seicento li versa alla moglie (casalinga) e alle due figlie, 450 servono per pagare un vecchio debito. A lui restano in tasca 550 euro, di cui 30 per la tessera dell’autobus. Tolti i 200 euro di affitto per la casa dei papà , Giancarlo può contare su un reddito di poco più di 300 euro al mese. È arrabbiato, deluso. «La separazione l’ho subita. Quando vivevamo tutti insieme non ci mancava niente, eravamo una famiglia dignitosa. Oggi siamo poveri. Qui ho una piccola mansarda, con una bella luce. Mi sento al sicuro, non mi manca nulla, le mie figlie ci vengono volentieri, ho ritrovato la mia dignità . Ma domani? Dovrò di nuovo chiedere, per favore, un posto per dormire?».

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