San Raffaele, ombre dal 1994

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All’epoca quell’arresto suonò come l’ultimo segnale d’allarme lanciato al governo. La retata del San Raffaele, scattata mentre il premier Silvio Berlusconi inaugurava il Parco Scientifico di don Verzè, venne interpretata come una sfida diretta della procura di Milano al governo. E dodici giorni dopo arrivò l’avviso di garanzia per il presidente del Consiglio.

In quel tormentato novembre 1994 la vicenda giudiziaria di Mario Cal passò in secondo piano: una storia minima, da soli trenta milioni di lire, che però aveva aperto uno spiraglio nella gestione dell’impero delle cliniche.

Ora il suo suicidio, che segue l’interrogatorio come teste negli uffici dei pm milanesi, pare riportare alla stagione della grande crisi istituzionale. Fu chiamato “il terrore”, rievocando la fase più sanguinaria della rivoluzione francese. Un parlamento di inquisiti preoccupati più della loro difesa che della situazione del Paese, una tempesta economica profonda che nel settembre 1992 aveva incenerito il valore della lira, il peso del debito pubblico che schiacciava le casse dello Stato, la disoccupazione e l’impoverimento generalizzato, le stragi di mafia con misteriose complicità  che avevano persino spento i telefoni di Palazzo Chigi nella notte del triplice attentato e i suicidi eccellenti di personaggi come Raul Gardini.

In quel novembre 1994 Mario Cal finì in manette per una mazzetta da trenta milioni di lire pagata agli ispettori dell’Ufficio imposte. All’epoca, l’inchiesta sulle tangenti fiscali aveva decimato gli organici delle Fiamme Gialle milanesi, con decine di arresti, e azzerato la sede dell’Ufficio Imposte, dove fu necessario mandare rimpiazzi da altre città  per sostituire gli inquisiti.

Secondo l’accusa, la bustarella del San Raffaele venne versata nell’estate 1993, quando Mani Pulite già  dilagava: la decisione di consegnare la tangente sarebbe stata presa da Vincenzo Marescotti, allora direttore amministrativo della Fondazione San Raffaele Monte Tabor, dopo l’autorizzazione di Mario Cal, già  all’epoca numero uno della holding di don Verzè. Tutta la ricostruzione nasceva dalle dichiarazioni del commercialista Alfio Torrisi, finito agli arresti in ospedale per un altro episodio di corruzione, che aveva materialmente consegnato le banconote.

L’indagine condotta personalmente da Antonio Di Pietro puntava però al cuore delle finanze del San Raffaele, che incassava dalla Regione Lombardia quasi 400 miliardi di lire l’anno per l’assistenza convenzionata. In quel periodo, la Fondazione stava conducendo una grande fase di espansione internazionale: Algeria, Polonia, Cile, Filippine, India ed era addirittura consulente dell’Autorità  palestinese di Arafat per la creazione del servizio sanitario nei Territori.

Le relazioni di don Verzè abbracciavano l’intero governo nazionale e regionale, dal vecchio pentapartito alle nuove leve di Forza Italia creata dal suo antico amico Berlusconi. Che bisogno c’era di consegnare una mazzetta agli ispettori del Fisco?

Cal e Mariscotti furono scarcerati subito dopo l’interrogatorio davanti al gip Andrea Padalino, nel quale ammisero la tangente «per rendere più veloce la verifica» e fecero una panoramica del loro ruolo nella galassia mondiale del San Raffaele.

Episodio chiuso, senza influenzare le carriere dei due.

Ma nel faldone investigativo raccolto dai pm c’erano elementi che avevano colpito molto Antonio Di Pietro. Una radiografia dei rapporti tra la Fondazione milanese di don Verzè e le sue controllate estere, su cui si era focalizzato l’interrogatorio di Cal e Mariscotti, con il trasferimento di fondi dalla Lombardia al Brasile: c’era il sospetto che i quattrini ottenuti dall’ente pubblico venissero spostati in altri continenti per creare fondi neri.

Un sospetto mai concretizzato in provvedimenti giudiziari. Di Pietro si dimise dalla magistratura tre settimane dopo l’arresto dei due top manager, il resto del pool si concentrò sul trasformare in processi le prove raccolte contro oltre duemila imputati nei primi due anni di Mani Pulite. Ma qualcosa nei conti del San Raffaele già  allora non quadrava.

E oggi la situazione dei bilanci è diventata così grave da avere spinto – stando alle dichiarazioni del suo avvocato e amico Rosario Minniti – Mario Cal al suicidio.


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