by Sergio Segio | 29 Luglio 2011 7:21
LISBONA.La crisi dei debiti sovrani oggi è questione europea – con l’Europa intesa non solo come entità geografica ma soprattutto come un’unione istituzionale – e l’eurodeputato Miguel Portas è probabilmente la persona più adatta per aiutarci a capire cosa sta succedendo nei rapporti tra Portogallo, l’Europa e le sinistre europee. Questo per varie ragioni: innanzitutto perché Portas è tra i fondatori del Bloco de Esquerda, un partito nato alla fine degli anni ’90 per riunire vari movimenti di sinistra non appartenenti al Partito Comunista, e resta tutt’oggi forte e vitale. In secondo luogo perché Portas è uno dei pochi grandi leader che ha scelto di concentrare la sua attività politica nel parlamento europeo, dove è deputato dal 2004;infine perché è vicepresidente della commissione speciale del parlamento europeo per la crisi finanziaria economica e sociale.
Perché i media sono tanto disattenti a quanto succede nel parlamento europeo?
Credo che i media parlino poco di questa istituzione perché, dal punto di vista dell’opinione pubblica, è vista come l’«anello debole» del sistema istituzionale europeo. Ma c’è un che di ingiusto in questa visione. Se era vera prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, oggi appare inadeguata. Attualmente, tutte le questioni che hanno un rilievo di ordine economico sono oggetto di co-decisione tra i governi e il Parlamento Europeo. Anzi, bisogna sottolineare come proprio nel parlamento europeo le posizioni liberiste più allineate con la Banca Centrale Europea trovino la loro espressione politica più forte.
Sembra che l’Europa affronti lo squilibrio dei conti pubblici senza una strategia precisa: ogni caso è trattato come un caso a sé. Quando Moody’s ha abbassato il rating del Portogallo, José Zapatero si è affrettato a sottolineare come il caso spagnolo fosse ben differente.
La risposta «caso per caso» è la diretta conseguenza di un’interpretazione ortodossa della crisi del debito sovrano. L’analisi è semplice: alcuni paesi hanno accumulato debiti eccessivi al di là del limite stabilito dal Patto di Stabilità , hanno deciso di vivere «al di sopra delle proprie possibilità ». Quindi, l’aiuto europeo deve fare sì che questi paesi siano ricondotti all’ordine attraverso programmi di austerità e duramente puniti in caso di recidiva. La versione populista di questo discorso è che il sud è «pigro» e «non lavora». Al parlamento europeo questa è la narrativa dominante.
Il Bloco de Esquerda chiede la ristrutturazione del debito: ma sembra la sua unica risposta per risolvere lo squilibrio nei conti pubblici…
In realtà , il Bloco de Esquerda ha presentato due strade per la ristrutturazione del debito: una, di carattere europeo, si basa sull’emissione di titoli europei del debito, gli Eurobonds. L’altra, visto che la prima opzione è istituzionalmente bloccata, ha carattere essenzialmente nazionale: chiedere una rinegoziazione diretta con i creditori. Entrtambe le strade implicano sempre una revisione del debito. La ristrutturazione di fatto è solo una condizione necessaria, ma non sufficiente, per superare la crisi nella quale i paesi della periferia indebolita si trovano.
Quali sono le conseguenze di questi piani di «salvataggio»?
I paesi costretti a chiedere l’aiuto esterno sono puniti non solo dalle politiche di austerità previste dai memorandum di concessione degli aiuti, ma anche da una moneta unica troppo forte, che determina l’acuirsi della recessione e l’aumento della disoccupazione. L’aspetto più grave di questa crisi è il crescere della divergenza economica tra il centro e la periferia, con il conseguente aggravamento delle disuguaglianze sociali. La promessa di una convergenza europea sembra defunta.
Perché il Parlamento Europeo fatica a elaborare un piano di solidarietà interna che colmi gli squilibri tra una Germania fortemente sviluppata e il resto dell’Europa che stenta a seguire i suoi livelli di crescita?
Nel corso dell’ultimo anno abbiamo assistito, causa la pressione dell’attacco del sistema finanziario all’euro, a un’evoluzione molto significativa delle posizioni all’interno dell’establishment europeo. Esiste oggi una maggioranza politica nel parlamento europeo che appoggia l’istituzione di eurobonds per finanziare grandi progetti di investimento, attraverso l’emissione di obbligazioni da parte della Banca europea di investimento (projects bonds). La stessa maggioranza è favorevole a creare una tassa sulle transazioni finanziarie, anche prima che sia approvata su scala planetaria, e anche a misure che colpiscano l’esportazione di capitali verso i paradisi finanziari. Vi è inoltre un significativo accordo sull’adozione di politiche per sostenere l’occupazione. Tuttavia, tutti questi progetti sono bloccati dall’obbligo di unanimità , in materia fiscale, all’interno del Consiglio. Impossibile trovare invece punti di convergenza per quel che riguarda un coordinamento economico, là dove destra e liberali hanno imposto il loro modello punitivo.
Come si comportano le sinistre nel Parlamento Europeo?
Dobbiamo registrare come i socialisti abbiano rotto con la loro tradizione di compromesso al centro in materia economica, votando questa volta con i Verdi e la sinistra unitaria. Anche se, quando si discute del bilancio europeo, le divisioni emergono anche all’interno della sinistra radicale, incapace perfino di trovare un accordo sulla necessità di aumentare il bilancio per promuovere le politiche di cui abbiamo parlato prima. In poche parole: le sinistre, minoritarie nel parlamento, non sono sufficienti per influenzare gli orientamenti economici più conservatori. Dall’altro lato, i socialisti si trovano davanti a un bivio: applicano al sud le politiche di bailout e austerità definite dai conservatori al nord, ma allo stesso tempo ci sono segnali che essi stiano cercando di liberarsi dalla ragnatela nella quale decenni di compromessi li hanno impigliati. Le sinistre radicali sono invece profondamente divise rispetto alla propria idea di costruzione europea, il che toglie loro credibilità propositiva. Così, se da un lato è possibile un’azione comune su questioni puntuali, dall’altro lato non è possibile, sebbene sarebbe auspicabile, una strategia comune di alternativa europea all’austerità .
Il Bloco de Esquerda si è sempre mostrato favorevole alla costruzione di un’Europa Federale. Ma non c’è un certo egoismo da parte dei partiti di quei paesi che per il momento non hanno sofferto della crisi dei debiti sovrani?
Siamo favorevoli all’idea di una Costituzione Europea, ma abbiamo sempre evitato la parola «federalismo». Non perché ne abbiamo paura, ma perché essa avvelena i dibattiti, che è meglio concentrare sui contenuti e sui meriti e demeriti. Dall’altro lato, la crisi ha sviluppato meccanismi di «egoismo sociale» nei paesi più ricchi, dove sono più diffuse posizioni euroscettiche o addirittura posizioni populiste anti-europee.
E il sindacato?
Il movimento sindacale è incapace di intendersi sulla strategia di azione comune tra i lavoratori europei, siano al nord, al sud o all’est. È in parte prigioniero della logica della divergenza che si è instaurata, e che il persistere della crisi accentua. Noi abbiamo bisogno di una sinistra europea capace di agire come piattaforma per intendimenti e convergenze più vaste, incentrate su grandi campagne popolari comuni, ad esempio, attraverso uno strumento come la petizione europea, che esige un minimo di un milione di firme.
Quali sono i problemi che impediscono di avere una relazione più stretta tra le sinistre?
Le difficoltà nascono sempre dalle questioni più semplici. Dobbiamo chiederci quale sia la proposta, o la rete di proposte che possano avere più probabilità di cementare una convergenza. Da un punto di vista della sinistra, io direi che abbiamo bisogno di collocare la precarietà al centro della lotta politica e sociale europea. È un problema attuale e incisivo, qualsiasi sia il punto cardinale nel quale ci incontriamo…
Il versante conservatore invece non sembra avere problemi ad organizzarsi a un livello sovrannazionale, riuscendo a imporre le sue politiche e i suoi politici: Lagarde, Barroso, e Van Rompuy arrivano tutti dal Ppe. È possibile, oggi, risolvere qualsivoglia problema a un livello nazionale?
Molte cose continuano a essere decise a un livello nazionale. Ma sono d’accordo sul «non detto» della domanda: è sempre maggiore la contraddizione tra il fatto che la lotta politica si sviluppi a livello dello stato nazione e la decisione politica si concentri, sempre più, a livello europeo. La destra dispone di un vantaggio strategico sulla sinistra: dominando la decisione europea, forza il consenso e le maggioranze sul piano nazionale. Al contrario, la sinistra, all’opposizione, concentra le sue energie sui luoghi dove la lotta si fa con le persone e questo la «imprigiona» nelle agende nazionali. È la debolezza, e non la forza, che «nazionalizza» la politica di sinistra.
Com’è il rapporto tra il Bloco de Esquerda e il Partito Comunista Portoghese (Pcp), a livello europeo?
Condividiamo lo stesso gruppo parlamentare, la Sinistra Unitaria Europea (Gue), che è una formazione a carattere confederale, ovvero dove ogni delegazione nazionale e ogni deputato dispone della massima libertà di voto. Evitiamo polemiche inutili o che il «popolo di sinistra» portoghese potrebbe non capire. Come in Portogallo, camminiamo separati e convergiamo quando è necessario dare forza alle lotte popolari. Ma non è un segreto per nessuno che tra l’«europeismo di sinistra» del Bloco e il «patriottismo internazionalista» del Pcp ci sono differenze profonde. Diciamo che ci intendiamo molto più facilmente sulla contestazione delle politiche che non sulla costruzione di risposte europee in comune. Da questo punto di vista, le convergenze sul piano nazionale sono maggiori.
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FINANZA
Fitch perdona Lisbona La Grecia nel gorgo
Chi l’ha detto che le agenzie di rating non hanno un cuore? Ieri Fitch (una delle tre – tre – monopoliste del settore) hanno rilasciato una piccola buona nuova per il piccolo Portogallo. «Il programma di assistenza finanziaria da 78 miliardi di euro concesso da Ue e Fondo monetario internazionale ha alleviato le preoccupazioni per la liquidità nel breve termine», e «dovrebbe accelerare il ritmo di riforme economiche strutturali». Come dire: per ora non abbasseremo il voto sul tuo debito pubblico (BBB-, a un pelo dal nulla). Ma sia chiaro: «i rating del Paese restano sotto pressione, date le fragili dinamiche del debito pubblico ed estero, le prospettive di crescita incerte nel lungo termine e le difficoltà economiche nel 2011 e 2012». In ciascuno dei due anni Fitch prevede un calo del Pil del 2%. Del resto, come può «ripartire» la crescita di un paese se deve comprimere i redditi per far fronte a un debito cresciuto non solo per propria insipienza?
A non trovare invece la strada per uscire dal tunnel resta la derelitta Grecia. Tassisti e governo continuano in un braccio di ferro che non lascia intravedere ancora «punti di caduta» per un possibile compromesso. Incidenti si sono verificati ieri con la polizia nel porto del Pireo. I manifestanti hanno bloccato per qualche ore le macchine dei turisti appena sbarcati al porto. I tassisti hanno anche gettato olio sulla banchina per impedire alle macchine della polizia di avvicinarsi e disperderli. Un gruppo di manifestanti ha attaccato la stazione radiotelevisiva di Skai. Il portavoce del governo ha accusato l’opposizione di destra, Nuova Democrazia, di sostenere il movimento dei tassisti, che sta dando «un forte colpo» al turismo.Ma domani ci sarà un nuovo incontro tra le parti. Non lascia invece speranze Wolfgang Schaeuble, ministro delle Finanze tedesco, secondo cui «ci vorranno 10 anni prima che la Grecia possa diventare competitiva su mercati internazionali», sottolineando che non c’era alternativa alle misure di salvataggio prese finora per Atene e per l’euro.
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