by Sergio Segio | 29 Luglio 2011 8:04
Viste le reazioni che il diretto interessato fa filtrare attraverso i fedelissimi Capezzone, Cicchitto e Sacconi, a Silvio Berlusconi il cosiddetto «manifesto delle parti sociali» interessa il giusto. Assai meno del «processo lungo», sul quale il governo pone la fiducia numero 48. Così l’appello firmato da banche, industriali grandi e piccoli, mondo cooperativo, commercianti, artigiani, agricoltori e due sindacati confederali su tre – manca la Uil – alla fine rischia di ritorcersi contro di loro, almeno a giudicare dalla nuova divisione sindacale.
Perché di fronte alla parola «discontinuità », termine che chiama a un governo senza Berlusconi, il cavaliere si arrocca subito. Perché il suo dichiarato obiettivo è quello di arrivare al 2013, termine fisiologico della legislatura. Quanto al «patto per la crescita» richiamato dai firmatari dell’appello, i berluscones dicono di apprezzare lo sforzo e assicurano una grande iniziativa sul tema. In autunno. Dopo le vacanze.
Eppure il tutti insieme appassionatamente (o quasi) lanciato da Abi, Confindustria & c., iniziativa nata da un colloquio fra i numeri uno del sistema bancario italiano Giuseppe Mussari e la leader confindustriale Emma Marcegaglia, gode di uno sponsor come Giorgio Napolitano. Un capo dello Stato che ieri, con un intervento pubblico a un meritorio convegno dei radicali sulla giustizia e l’invivibilità delle carceri italiane, ha rimarcato così il suo apprezzamento: «Sappiamo che la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise. Ma non sono proprio scelte di questa natura che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano non solo nel campo cui si riferisce questo convegno ma in altri non meno fondamentali?». Messaggio chiaro dunque. Cui fa da contraltare, nel giorno in cui al Quirinale giurano i due nuovi ministri Francesco Nitto Palma e Anna Maria Bernini, un Berlusconi che si preoccupa soprattutto di rinsaldare i rapporti con l’essenziale alleato leghista, dopo le fibrillazioni del caso Papa. Missione riuscita, almeno a giudicare dall’annuncio dell’ok del carroccio al voto di fiducia in Senato sul «processo lungo».
Ben diverse le reazioni al «manifesto delle parti sociali». Parte di buon mattino Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, con parole non equivocabili: «Appare francamente deludente la nota diffusa ieri sera da esponenti del mondo bancario, sindacale e produttivo. Le ‘soluzioni’ fatte intravedere in controluce non tengono conto del fatto che in un paese occidentale sono i cittadini a scegliere i governi, e non manovre oligarchiche in salsa emergenziale». A ruota ecco la «mediazione» del capogruppo dei deputati pidiellini Fabrizio Cicchitto: «Il governo deve prendere in attenta considerazione il documento di Confindustria, banche, sindacati, organizzazioni del lavoro autonomo, indipendentemente dalle molteplici interpretazioni che lasciano il tempo che trovano. Anzi a nostro avviso va presa in considerazione l’ipotesi di realizzare in autunno una grande assise dell’economia, fra il governo e le organizzazioni economico-sociali». Chiude il discorso il ministro Maurizio Sacconi: «Credo che la cosa peggiore, proprio per il ruolo degli attori sociali, sia quello di strumentalizzarli, piegarli a un progetto politico contro questo governo o per un altro governo».
Il tenore delle reazioni di governo e maggioranza al «manifesto delle parti sociali» provoca la naturale reazione delle opposizioni. Soprattutto il rinvio all’autunno non va giù. Parte l’Idv con Massimo Donadi a chiedere che il governo venga subito in aula a rispondere a quanto sottoscritto da banche, industriali ecc.. Segue Dario Franceschini a nome del Pd: «È necessario che il governo venga in aula». Secca la risposta di Cicchitto: «Abbiamo già parlato della crisi in un ampio dibattito sulla manovra. A sentire l’opposizione, il presidente del Consiglio dovrebbe stare qui a riferire ogni giorno». Tira le somme Pierferdinando Casini, che entra nel merito del documento Mussari-Marcegaglia: «Chiediamo al governo di non perdere tempo, e come opposizione siamo pronti a lavorare anche ad agosto se l’esecutivo sarà in grado di presentare provvedimenti concreti per dare le risposte che il mondo produttivo chiede alla politica». Naturalmente per il leader Udc «la via maestra resta un governo di responsabilità nazionale». Ma l’attuale governo – ammette infine Casini – ha la maggioranza. Nel pomeriggio anche Pierluigi Bersani chiede a Berlusconi di riferire in parlamento: «Accetti che finalmente si apra un dibattito sulla reale situazione dell’Italia e su come uscire dalle difficoltà ». Ma sono altre parole al vento. Intanto, in parallelo, il «manifesto» sancisce una nuova rottura confederale: Cgil da una parte, Uil dall’altra. E la Cisl nel mezzo.
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