“Vendono perché non ci credono” e torna lo spauracchio del ‘92

by Sergio Segio | 12 Luglio 2011 7:35

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MILANO – In coda per il rientro in città , molti operatori di Piazza Affari temevano un lunedì ispido. Quel che hanno visto ha superato le attese. «Una sberla così ci rovina l’annata, ma non solo – sintetizza un vecchio operatore – si rischia un ballo di San Vito tipo quello di due anni fa, quando l’indice Ftse Mib da 20mila scese a 12mila in breve. Qui non esistono più i compratori, e non si vede chi abbia ricette per cambiare le cose».
I prezzi di Borsa sono solo un riflesso, minore, dell’affanno di un Paese, riassunto meglio dal differenziale dei titoli decennali sul Bund tedesco: +56 punti base ieri a 301, fino al rendimento del 5,7%. Chi fa calcoli ne stima maggiori oneri governativi per una decina di miliardi di euro l’anno (una bella fetta di manovra, perpetua), un 20-25% di utili in meno per le banche italiane che si sveneranno per finanziarsi, e caricheranno su aziende e cittadini prestiti a tasso doppio rispetto ai francesi e tedeschi, con cui si sognerebbero di competere. Verso le dieci, nelle Sim, qualcuno ha acceso un cero. L’indice, aperto a meno 1%, ha avuto un sussulto. Solo qualche decimo, poi ancora giù a puntare il vuoto. Idem la forbice dei tassi. Alle 16,30 Intesa Sanpaolo e Unicredit sono state sospese al ribasso, l’indice ha puntato il 5% e tanti hanno avuto paura. «Get me out of this shit!», ha urlato un grande cliente al capo di una Sim. Poi, come spesso in simili sedute, il rimbalzino finale opera dei più arditi: perché tanti prezzi sono davvero stracciati ormai. «Raramente, dal ‘92, ho visto una situazione di questo tipo – dice Francesco Perilli, ad di Equita Sim – con l’aggravante che allora facevi una manovra o svalutavi la lira e ne uscivi, oggi l’Europa si muove con tempi biblici, i gestori italiani sono poco reattivi, e i tempi politici del governo per approntare una manovra di ben altro spessore e contrastare l’euroscetticismo non sono compatibili con quelli dei mercati». Di qui il timore di aver davanti una lunga estate.
Neanche l’alibi della “speculazione” di breve termine regge: da giorni tutto il mondo vende Italia, non solo gli avventurieri. Lo sancisce la Consob, che alla vigilia ha tentato senza fortuna di frenare le vendite speculative: «A una prima analisi – ha detto un portavoce – risulta che l’andamento odierno non sia riconducibile alle vendite allo scoperto. Le vendite sembrano essere effettive».
Tra i grandi istituti, che hanno la crisi in casa per essere i primi prenditori del debito pubblico (e i primi a pagarla in Borsa), si inizia a smaniare. Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi e di Mps, ha detto: «La manovra va approvata nel più breve tempo possibile. Il decreto va bene, rispetta gli impegni, non c’è da fare di più, c’è da fare presto». E il collega Corrado Passera, ad di Intesa Sanpaolo: «Per evitare di trovarsi in difficoltà  l’Italia deve fare con decisione la sua parte in termini di rigore: la manovra va approvata subito, se fosse possibile oggi stesso. Non c’è tempo per discutere e introdurre miglioramenti. Bisognerà  farlo subito dopo riavviando la crescita con investimenti e interventi fiscali mirati». C’è anche chi, dietro le quinte, depreca una manovra «tutta tagli e tasse, che non fa crescita, salva i privilegi dei politici e prende i soldi ai risparmiatori».
Tra tante voci, nessuno che dica «compra». Il più costruttivo, e forse non è un caso, è ex finanziere passato da un decennio ad aggiustare imprese. «In Borsa c’è un clima isterico, sembra perdersi ogni riferimento alla sostanza e al valore – dice Enzo Manes, vice presidente esecutivo e primo socio di Kme, l’ex azienda degli Orlando che ha rilanciato nella trasformazione del rame. «Se l’Italia fosse un’azienda – continua l’imprenditore – ora le servirebbe un aumento di capitale. Tradotto in termini pubblici, per me significa una legge patrimoniale, con annesse privatizzazioni e riforme per la competitività  e la crescita, guardando non a chi sarà  eletto tra due anni, ma come staranno i nostri figli tra 10». Uno scatto d’orgoglio, con cui affidare 3-400 miliardi a un governo che ripristini il futuro del Paese. Quale popolo non darebbe il 3-4% della propria ricchezza privata per riappropriarsi del futuro? «Qui serve uno scarto, per l’interesse comune degli italiani: è anche un problema di orgoglio, siamo stanchi di girare il mondo e prendere schiaffi da questi analisti che ci paragonano alla Grecia».

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