Quei 70 pasdaran del Tea Party che giocano sull’orlo del baratro

by Sergio Segio | 25 Luglio 2011 9:06

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New York. «È impensabile che l’America cessi di onorare i suoi obblighi». Questo grave avvertimento è stato lanciato ieri dalla Casa Bianca in una giornata al cardiopalmo: in pieno braccio di ferro tra Barack Obama e la destra repubblicana sul debito pubblico, poche ore prima che riaprissero i mercati, il “default” degli Stati Uniti restava sospeso come una minaccia inaudita.
La paura del giudizio universale dei mercati ha moltiplicato le mediazioni fino a tarda notte. In extremis un’iniziativa del leader democratico al Senato, Harry Reid, ha prefigurato un possibile accordo con 2.400 miliardi di tagli al deficit, senza nuove tasse proprio come chiesto dai repubblicani. Ha pesato il timore di un Armageddon, l’apocalisse finanziaria, se un mancato accordo bloccasse tutta la macchina dei pagamenti statali di Washington di qui al 2 agosto. Gli “obblighi” dell’America che hanno monopolizzato l’attenzione sono quelli verso i creditori: Wall Street, le banche, i fondi pensione, e ovviamente i grandi finanziatori esteri che sono Cina Giappone Russia Brasile. Guai se l’America perde la loro fiducia, gli effetti si sentirebbero a catena: vendite massicce di buoni del Tesoro Usa che sono il titolo più “liquido” e comprato nel mondo, giù il dollaro, giù le Borse, su i tassi d’interesse. In secondo piano, tra gli “obblighi” che gli Stati Uniti dovrebbero onorare, sono finiti quelli verso ampi strati della loro popolazione: 17 milioni di disoccupati tra cui una quota crescente di giovani, gli anziani oltre i 65 anni che dipendono dalla pensione della Social Security e dall’assistenza sanitaria del Medicare. I rapporti di forze politici – Obama è costretto a negoziare tutto con la destra che è maggioritaria alla Camera – hanno impresso il segno allo scontro sul debito. Che l’onere dell’aggiustamento delle finanze pubbliche debba ricadere in prevalenza sulla spesa sociale del Welfare State, non è in discussione. Si tratta solo di stabilire il “quanto”. Espulsi dalla porta, gli “obblighi” dell’America verso le categorie più deboli della sua popolazione sono rientrati dalla finestra in via subordinata. E’ toccato al segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, ricordare quali sarebbero gli effetti di un “default”, una cessazione dei pagamenti, sia pure tecnica e temporanea, o anche solo un semplice downgrading: “Se le agenzie di rating declassano il debito pubblico degli Stati Uniti, questo ci costringerà  ad offrire rendimenti più elevati per attirare gli investitori. Sarà  a rischio la ripresa economica, proprio quando i segnali ci dicono che potrebbe ripartire una crescita del 3% nella seconda parte dell’anno”. Mezzo punto percentuale di tassi in più, ha effetti depressivi sull’economia tali da generare altri 600.000 licenziamenti. E le agenzie di rating possono togliere la “tripla A” al debito Usa anche se un accordo c’è, ma viene giudicato un palliativo che non affronta i nodi strutturali della finanza pubblica. C’è voluto il ministro dell’Industria di un governo di centro-destra, l’inglese Vince Cable, per dirlo: “La vera minaccia alla stabilità  mondiale non viene dall’eurozona bensì dai pazzi della destra americana”. Per tutta la giornata di ieri, mentre l’orologio avanzava implacabile verso l’apertura delle Borse asiatiche, l’America è stata tenuta in ostaggio dal presidente della Camera, il repubblicano John Boehner. Vero uomo chiave della vicenda, Boehner presiede quel ramo del Congresso dove tutto si ferma se la destra non è d’accordo. E all’interno di quel folto gruppo parlamentare, c’è una pattuglia di 70 pasdaran che rispondono agli slogan del Tea Party: il movimento secondo cui Obama è un pericoloso socialista, che va fermato per impedire la statalizzazione dell’economia. Raggiunto il limite legale del debito pubblico, a 14.290 miliardi di dollari (una voragine dovuta per i due terzi a George Bush: guerre e generosi sgravi fiscali a ricchi), la destra ha deciso di negare i suoi voti all’innalzamento di quel debito, se non passa la sua linea sui tagli drastici al Welfare. Boehner ieri ha detto che “la Camera può portare avanti la sua soluzione da sola”, cioè il piano unilaterale della destra: un rialzo del tetto del debito di brevissima durata, che consenta di arrivare solo a fine anno. Per poi ricominciare daccapo nel 2012. La finalità  tattica è evidente: la destra vuole trasformare la campagna elettorale del 2012 in un referendum pro o contro nuove tasse, convinta che il populismo della rivolta fiscale uscirà  vincente. Obama userà  un’altra carta: chiamare la nazione a sostenerlo nel ruolo del leader moderato e pragmatico, di fronte a una destra irresponsabile. Grazie al ricatto dei mercati, una tregua ieri sera sembrava raggiungibile, il compromesso proposto da Reid. Ma nessuno ha messo al centro dell’attenzione le cause strutturali di questa crisi: i nodi dell’invecchiamento demografico, il “deficit imperiale” legato alle guerre, la rottura del patto sociale americano con la dissociazione dei ricchi da ogni dovere di solidarietà  fiscale.

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