Quattro province a rischio Rosarno, la mappa della Cgil

by Sergio Segio | 1 Luglio 2011 11:16

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Roma – In Italia ci sono nuove Rosarno pronte a esplodere. Lo afferma una ricerca Ires – Cgil dal titolo “Immigrazione, sfruttamento e conflitto sociale. Una mappatura delle aree a rischio e quattro studi di caso territoriali”, che ha individuato le province più a rischio di conflitti sociali fra migranti e italiani delle comunità  locali. Sono quattro i territori ‘attenzionati’: Foggia, Caserta, Siracusa e ovviamente la piana di Gioia Tauro.  Sono quelli in cui la combinazione di sfruttamento, corruzione e mancato sviluppo stanno creando delle  polveriere, pronte a scoppiare in presenza di un qualche episodio che faccia da detonatore. Le condizioni di base sono il lavoro nero e il disagio sociale che spesso accumunano italiani e stranieri. Secondo il Rapporto annuale pubblicato alla fine del 2009 dall’European Network Against Racism (ENAR), ad esempio, in Italia il 65% dei lavoratori stagionali vive in baracche, il 10% in tende e solo il 20% in case in affitto. Sono lavoratori fondamentali per l’economia agricola soprattutto nelle regioni meridionali eppure nella maggior parte dei casi sono costretti a vivere in condizioni disumane, senza acqua, luce e cure mediche, con paghe che non superano i 25 euro giornalieri.

Le quattro diverse aree territoriali sono state individuate incrociando quattro fattori anticipatori di conflitti,  indici di qualità  sociale, economica, abitativa e occupazionale. In seguito, la situazione di ogni territorio è stata studiata attraverso  40 interviste semi-strutturate somministrate a diversi testimoni-privilegiati opportunamente selezionati a livello locale. La black list delle quindici province più a rischio vede nell’ordine: Caserta, Crotone, Napoli, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Reggio Calabria, Salerno, Catania, Trapani, Foggia, Taranto, Palermo, Agrigento e Lecce.

La ricerca Ires Cgil sceglie Rosarno come paradigma dello sfruttamento degli stranieri nell’economia locale. Su questa idea, lo studio approfondisce quei territori che hanno maggiori somiglianze con il caso della rivolta degli africani contro la ‘ndrangheta e la schiavitù del gennaio 2010.  “Nelle province coinvolte nell’indagine è emerso in modo chiaro che nel corso degli anni, ad una presenza crescente degli immigrati, siano essi stanziali o stagionali, ha corrisposto un aumento degli episodi di razzismo e di xenofobia – si legge nel rapporto – In particolare, stando a quanto osservato, gli immigrati sono stati percepiti in modo diverso nel corso degli anni”. Da una parte la loro presenza e stata sempre ritenuta indispensabile per la sopravvivenza delle economie locali e dei piccoli produttori ed imprenditori.

I lavoratori immigrati, infatti, rappresentano un’ingente quantita di manodopera a basso costo, utilizzata per attivita poco specializzate ed altamente ricattabile. Inoltre, il fatto che spesso questi lavoratori non siano in possesso di un valido titolo di soggiorno, li priva di qualsiasi forma di tutela e garanzia contrattuale. Ma, spesso, anche nei casi in cui si tratti di cittadini comunitari, come romeni, polacchi e bulgari, le condizioni di lavoro e salariali non migliorano affatto. Questi lavoratori non sostituiscono quelli italiani, perché svolgono sempre occupazioni che i residenti non vogliono più fare.  Per questo, secondo la ricerca, “la presenza degli immigrati e stata sempre tollerata, ed in molti casi è stata anche incentivata, proprio perche necessaria all’economia locale”, ad esempio nel settore edile, “ con condizioni salariali e contrattuali inique”.  La presenza di questi lavoratori ha cominciato a divenire “scomoda” e sempre meno gradita dalla popolazione locale e dalle stesse istituzioni nel momento in cui non viene più ritenuta funzionale all’andamento dell’economia locale. Questo è avvenuto soprattutto con la crisi economico-finanziaria. (raffaella cosentino)

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Sfruttamento e lavoro nero, Cgil: “Modello al ribasso esportato da sud a nord”

Gli immigrati sono stati ben visti fin quando l’agricoltura che si basa sui contributi europei aveva bisogno di produrre grandi quantità  di raccolto. Ma da quando gli incentivi arrivano sulla base degli ettari, gli stranieri sono invisi

Roma – “Si cerca di uscire dalla crisi con un modello al ribasso esportabile da sud a nord, basato sulla competizione bassa, la compressione dei costi e la riduzione dei diritti”. Commenta così la ricerca Ires – Cgil, Serena Sorrentino, segretaria confederale Cgil, sottolineando che “ la penetrazione dell’economia illegale avviene nel controllo della filiera e della manodopera”. Sorrentino denuncia che “dopo Rosarno, non sono state attivate politiche di accoglienza e il ministero dell’Interno non ha fatto il monitoraggio che aveva promesso all’indomani della rivolta”. Secondo la sindacalista, dall’indagine emerge che “prima del 2008 la presenza degli immigrati era favorita dalla popolazione locale perché i contributi dell’Unione europea venivano erogati a quantità  di prodotto, ma da quando sono dati sugli ettari a coltura ed è meglio lasciare le arance a marcire sugli alberi, la presenza degli stranieri è invisa”.

Per Saul Meghnagi, presidente Ires, di origine libica, “l’Italia è un paese a rischio che deve imparare a trattare con l’emigrazione, perché nel momento in cui in un paese arrivano braccia, arrivano anche persone che contribuiscono a una trasformazione importante delle strutture sociali del paese”. (raffaella cosentino) 

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