by Sergio Segio | 8 Luglio 2011 7:29
ROMA – «La Fininvest si salva senza bisogno di alcuna norma» mette le mani avanti Berlusconi alla vigilia della sentenza che occupa ogni suo pensiero. Ma una norma comunque ci sarà , si corregge subito. All’indomani del giudizio d’appello sul lodo Mondadori – atteso per domani – una leggina ad hoc sarà confezionata dal Pdl, per essere discussa e approvata al Senato. L’annuncio lo da lo stesso presidente del Consiglio approfittando della presentazione dell’autobiografia di Domenico Scilipoti, «Re dei peones» che annuisce compiaciuto.
Se la prende con l’opposizione, il Cavaliere: «Non si rassegna e non riesce a giocare una partita all’interno delle regole democratiche, pronta a usare ogni mezzo per ostacolare il governo». Ma il suo governo, dice, arriverà a fine legislatura, «non consegneremo l’Italia a Bersani, Di Pietro e Vendola, nonostante il fango e i poteri forti». Poi difende, rivendica il comma 23 salva-azienda inserito in manovra e poi ritirato, pur precisando di non averlo scritto lui. Berlusconi sostiene che tutti sapevano nel governo, che Calderoli, che Tremonti sapevano, nonostante le prese di distanza del ministro dell’Economia. Ma finisce ancora una volta isolato. E smentito apertamente dagli stessi ministri. Umberto Bossi davanti alla Camera, sbotta: «Non lo sapeva nessuno. Nemmeno Tremonti». Poco prima, il premier aveva definito la norma «una cosa giusta, non un intervento ad personam, fatta in favore di molte, moltissime aziende, in particolare quelle nel campo dei lavori pubblici». Lui si è «astenuto», dunque, ma «della cosa si è discusso in Consiglio dei ministri» e «Tremonti, che la considerava sacrosanta, non ha ritenuto di portarla al voto del Consiglio perché era sicuro che tutti i membri del governo sarebbero stati d’accordo. Per esempio, Calderoli mi ha detto che avrebbe voluto aiutarmi a scriverla meglio». Insomma, a sentire il premier, «non c’è alcun giallo: io e la Fininvest non abbiamo bisogno di una norma per salvarci». Detto questo, «non c’è nulla che ci impedisca di ripresentarla durante il percorso parlamentare, ci sarà una sentenza prossimamente, a quel punto non si potrebbe più considerarla una norma ad personam». Poche ore e l’input viene subito recepito. «Il Pdl presenterà in Senato un disegno di legge sul tema dei risarcimenti e dell’esecutività delle sentenze civili» spiega il vicecapogruppo al Senato, Gaetano Quagliariello. Perché, spiega, «per noi la difesa dell’impresa è un bene sociale primario». Il ministro La Russa abbozza: «La norma era giusta, va solo formulata meglio».
Ma il problema resta il giallo (irrisolto) del codicillo. Dunque tutti sapevano in Consiglio dei ministri? I leghisti, Tremonti sapevano? Non solo Bossi, ma anche Calderoli nega: «Ribadisco, ancora una volta, di non aver mai né letto né visto la cosiddetta norma sul Lodo Mondadori e di aver appreso della sua esistenza soltanto dai lanci delle agenzie di stampa, la settimana successiva al Consiglio dei ministri. Il prossimo ddl? Spero almeno sia costituzionale». Freddezza, a dir poco, dalla sponda leghista. Peggio sul versante Tremonti. Il ministro dell’Economia attraversa una lunga, difficile giornata, segnata dall’incidente con Brunetta per via del fuorionda di Repubblica.it, ma soprattutto dalle notizie dell’inchiesta P4 che coinvolgono il suo ex consigliere Marco Milanese. Preferisce non fare alcun riferimento diretto alla sortita del premier sul lodo Fininvest, ma l’intervento di Tremonti all’assemblea di Coldiretti ha tutto il sapore della replica indiretta a Berlusconi. «Sei più serio se dai l’idea che non fai il bene a te ma il bene comune. È un’idea che vince – sottolinea il ministro – Se servi il paese fai le cose che credi siano giuste e non fai il furbo, pensando di fregare qualcuno».
È un muro contro muro, ormai. I due non si sono rivolti la parola in Consiglio dei ministri. Uno scontro, quello tra Berlusconi e il ministro, che toccherà l’apice quando nei prossimi giorni partiranno i ritocchi alla manovra. Sempre che la situazione non precipiti prima. Su tutto, pesa per ora il silenzio del neo segretario Angelino Alfano.
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