by Sergio Segio | 24 Luglio 2011 6:30
PARIGI – «Questo accordo europeo è un formidabile invito a speculare di nuovo sul debito dell’Italia». Ancora una volta, Jacques Attali incarna il ruolo di Cassandra e spegne sul nascere gli entusiasmi intorno al secondo piano di salvataggio della Grecia. «L’intesa arriva troppo tardi ed è mancato il coraggio di andare verso una gestione più federale dell’Ue», spiega l’economista francese che alla crisi del debito ha dedicato due libri, pubblicati in Italia da Fazi. Con un avvertimento: «Purtroppo non è finita qui».
L’Italia tornerà nel mirino degli speculatori?
«Non subito. Dopo questo accordo ci sarà un effetto calmierante. Ma nei prossimi mesi succederà ancora, salvo che l’Italia mette in atto un vero piano di risparmi pubblici».
La manovra appena approvata è insufficiente?
«Intanto bisognerebbe sapere se verrà applicata, e dunque se è credibile. Tutti sanno che in Italia non c’è un’intesa bipartisan per seguire la strada del rigore. A complicare il quadro c’è la debolezza intrinseca del premier Berlusconi, e ora quella del ministro Tremonti. L’Italia non sarà la prossima vittima. Prima toccherà di nuovo a Spagna e Portogallo».
L’effetto contagio fa ancora paura?
«L’accordo europeo è un importante passo avanti ma avrebbe dovuto essere approvato diciotto mesi fa, bloccando così sul nascere la crisi. E’ anche un accordo al ribasso, perché non costruisce una vera governance europea, con mezzi di controllo della speculazione delle banche e degli altri attori del mercato».
Eppure la dotazione al Fondo salva-Stati è stata considerevolmente aumentata, e sono stati concessi nuovi poteri.
«Si parla di 158 milardi di euro per la sola Grecia e circa 450 miliardi complessivi per il Fesf. Poco. Certamente non basterebbero se l’Italia si trovasse di nuovo sotto attacco. Secondo i miei calcoli, una cifra più appropriata è di circa 2000 miliardi. Se i governi europei avessero messo sul tavolo questa somma gli speculatori si sarebbero ritirati».
Dove prendono tutti questi soldi i governi europei?
«Non sono i governi ma l’Unione europea che dovrebbe prendere in prestito questi soldi. La Ue non è indebitata, sarebbe facile e a buon mercato: potrebbe ottenere ottimi tassi di interesse. D’altra parte, i leader europei sanno da soli che l’accordo non basta. Hanno già annunciato che ne riparleranno a settembre. Un dettaglio scioccante: come si può dire ai mercati di aspettare ancora, tanto per far passare le vacanze? E’ adesso che bisogna agire, non c’è più tempo da perdere».
La Germania ha insistito affinché anche i privati partecipassero al salvataggio. Una misura giusta?
«Si tratta di una partecipazione fittizia. Come quei ciclisti che si dopano iniettandosi il proprio sangue. Le banche contribuiscono al salvataggio, ma se poi avranno dei problemi dovranno chiedere aiuto all’Ue. Difatti, è una clausola già prevista nell’accordo approvato a Bruxelles. Alla fine, dietro alle banche ci sono sempre gli Stati».
Il “default parziale” era dunque inevitabile?
«E’ il precedente che inquieta. Se l’Ue ha accettato di andare verso un default parziale per la Grecia, i mercati sono autorizzati a pensare che si accetterà un giorno pure per l’Italia. E dunque questo, in prospettiva, può riaccendere il ciclo di speculazione. Ma il vero fallimento dell’accordo europeo è nell’assenza di misure per vietare la speculazione contro i titoli di Stato. Oggi una banca italiana, che pure non possiede titoli di Stato italiani, può venderli, scommettendo sul fallimento dell’Italia. E’ esattamente quello che è successo qualche giorno fa. E nulla ci garantisce che non accada di nuovo».
L’accordo però va finalmente nel senso di una gestione più federale del debito nella zona euro.
«Solo in parte. Mancano ancora gli eurobond che chiedo da oltre tre anni, insieme a Tremonti e Juncker. Purtroppo non s’intravede la creazione di un ministero delle Finanze europeo che possa vigilare sul rigore finanziario degli Stati membri».
La situazione Usa è più preoccupante di quella europea?
«Se guardiamo i numeri, gli Usa stanno peggio dell’Ue. Ma l’America ha il 54% delle spese militari del mondo ed è ancora il posto più sicuro nel quale investire dei soldi. Fino a quando non avremo un esercito comune, l’euro non diventerà mai una vera moneta di riferimento. No, non credo al rischio default dell’America. Prima di settembre troveranno un accordo. E nell’attuale caos mondiale, gli Usa sono la sede migliore per mettere al riparo ingenti capitali».
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