“Omicidio Hariri, i killer sono di Hezbollah”

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GERUSALEMME – Si addensano pericolose nubi sul cielo di Beirut, dopo che ieri mattina la magistratura libanese ha emesso quattro mandati d’arresto nei confronti di altrettanti boss di Hezbollah per l’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri, avvenuto nel 2005. Atto dovuto dopo che una delegazione del Tribunale speciale dell’Onu per il Libano (Tsl) ha consegnato gli atti d’accusa contenuti in 163 pagine al Procuratore generale libanese Saeed Mirza. La messa in stato d’accusa degli esponenti di Hezbollah apre una fase estremamente delicata per il Libano, lo sceicco Nasrallah – il leader del Partito di Dio – ha da mesi annunciato che Hezbollah non accetterà  mai che suoi uomini siano giudicati da un «tribunale straniero, strumento di Israele» minacciando di tagliare la mani a «chiunque toccherà  un solo miliziano». Minacce prese in seria considerazione se gli atti d’accusa del Tribunale speciale per il Libano sono stati fermi oltre sei mesi per essere sottoposti a una seconda verifica prima di essere consegnati alla magistratura libanese.
Fra i quattro accusati – tutti comandanti militari di Hezbollah e i cui nomi dovevano restare segreti – spicca quello di Mustafà  Badreddin, il cognato di Imad Mughniyeh, il comandante militare del Partito di Dio assassinato a Damasco nel 2008. Nell’attentato contro Hariri sul lungomare di Beirut il 14 febbraio 2005 morirono oltre al premier altre 22 persone, la strage innescò una serie di violenze che nel maggio 2008 spinsero il Paese sull’orlo di una nuova guerra civile.
Il figlio di Hariri, Saad, anche lui un ex premier per 6 anni, dalla Francia dove per “motivi di sicurezza personale” si trova da settimane, ha parlato di «momento storico nella vita del Libano». Saad Hariri guida la coalizione anti-siriana “14 marzo” che sostenuta da Usa e Arabia Saudita si contrappone a Hezbollah nell’affollata arena politica del Paese dei Cedri. La fase finale dell’inchiesta sull’omicidio Hariri si intreccia con un momento cruciale della politica libanese, che cerca di uscire dallo stallo dopo che Hezbollah ha conquistato la maggioranza parlamentare nelle ultime elezioni. Il movimento sciita – presente con 19 ministri nella squadra del nuovo premier, il miliardario sunnita Najib Mikati – ha chiesto a quest’ultimo di troncare la cooperazione con il Tribunale. Ecco il perché dell’estrema cautela del primo ministro di Beirut. «Siamo di fronte a una nuova realtà , di cui dobbiamo essere consapevoli… e occuparci con responsabilità  e con realismo, tenendo presente che queste accuse non sono un verdetto», ha detto il premier in una conferenza stampa a Beirut dove la tensione era palpabile. Presieduto dal giudice italiano Antonio Cassese, il Tsl – operativo all’Aja dal 1 marzo del 2009 – è incaricato di giudicare i presunti mandanti ed esecutori dell’omicidio Hariri e di far luce su una lunga serie di attentati e omicidi compiuti sin dall’ottobre 2004 contro giornalisti e deputati libanesi, contrari all’influenza siriana nel loro Paese.
Adesso la procura libanese ha 30 giorni di tempo per eseguire gli arresti, un arco temporale che si intreccia con la scadenza del 13 luglio, data in cui Mikati dovrà  presentare il suo programma al Parlamento altrimenti il governo dovrà  dimettersi. Ma soprattutto la cautela è dettata dalla potenza militare del Partito di Dio, di gran lunga meglio armato dell’esercito regolare libanese.


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