by Sergio Segio | 6 Luglio 2011 7:21
ROMA – E infine le Province non si toccano. Ci ha provato Di Pietro ad abolirle con una norma costituzionale che si è affacciata ieri nell’aula della Camera ma che subito uno schieramento ampio di parlamentari – 225 no di Pdl e Lega e 240 astensioni di tutto il Pd e di 43 dissidenti del Pdl, tra cui Lupi e Paniz – ha archiviato. Eppure gli 83 favorevoli (oltre all’Idv, il Terzo Polo di Casini, Fini e Rutelli), avevano un formidabile argomento al loro arco: battere un colpo contro la casta e gli sprechi politico-istituzionali.
È proprio su questo che Di Pietro si scatena e parla di “traditori”: «Oggi si è verificato il tradimento generalizzato degli impegni e dei programmi elettorali da sinistra e da destra. Tutti hanno fatto a gara nel fare sognare in campagna elettorale gli italiani sul fatto che si sarebbe tagliata la casta eliminando le Province e poi non hanno mantenuto gli impegni». Ha buon gioco il leader Idv ad accusare: «In aula si è verificata una maggioranza trasversale, la maggioranza della casta». Usa parole pesanti contro il Pd: «È stato patetico che anche nella coalizione di centrosinistra si sia chiesto un rinvio dopo che da 51 anni si rinvia. La verità è che c’è una enorme differenza tra le chiacchiere elettorali e i fatti».
Del resto, è sul nodo politico – al di là delle ragioni di merito – che si spaccano i Democratici. Dura quattro ore l’assemblea del gruppo Pd per decidere cosa fare. I Democratici hanno un’altra proposta che Gianclaudio Bressa, capogruppo in commissione Affari costituzionali, chiede di fare valere, senza seguire la demagogia dipietrista. Dario Franceschini, il capogruppo, condivide rischiando di restare in minoranza. Però il messaggio politico è devastante: a farlo notare è Walter Veltroni. «Non si può in un momento come questo così drammatico per il paese dal punto di vista sociale, in cui i privilegi in primo luogo dei politici, sono insopportabili, non dare un segnale concreto di abbattere i costi della politica, non stare dalla parte del vento che cambia, non essere innovativi», si sfoga l’ex segretario Pd. Poi, aggiunge, di votare con la maggioranza – ovvero un “no” con Pdl e Lega – non se ne parla, è improponibile. I toni si alzano. «Io non lo farò per nessuna ragione», s’inalbera Sandra Zampa. Lo schieramento democratico che voterebbe con Di Pietro è ampio: va dal vice capogruppo Michele Ventura a Pier Luigi Castagnetti passando per Ugo Sposetti fino a Paola Concia («Bisognava lavorare con Di Pietro»), Pier Paolo Beretta («Non si può parlare alla pancia sui costi della politica e poi diventare razionali sulle Province») e Beppe Fioroni. Walter Verini, veltroniano, sostiene che «si è sottovalutato il danno». Pure Rosy Bindi preferirebbe nettezza, poi comunque apprezza l’astensione sofferta. Enrico Letta loda Veltroni: «Bravo, bel discorso». Bersani il segretario Pd, a cose fatte, cerca di riprendere il filo concreto delle cose: «Vanno ridotte ma va detto come si fa». Perché la de-costituzionalizzazione di Di Pietro creerebbe il caos. Stesso sentire di Franceschini che nell’astensione vede il modo di non spaccare il partito.
Che spaccato però è. Casini e i centristi rincarano: «Avevamo un’occasione d’oro per tagliare le Province. Invece è stata sprecata per colpa della maggioranza e anche del Pd». A rilanciare sono i finiani con una legge di iniziativa popolare. Italo Bocchino il vice presidente di Fli, lancia l’appello online (www. aboliamole. it) sul sito del partito. La Lega annaspa e Reguzzoni, il capogruppo lumbà rd, sposta la mira: «Aboliamo i prefetti».
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