by Sergio Segio | 6 Luglio 2011 18:57
ROMA – “Ecco, guardi qua, sfogli pure l’Ordinamento Penitenziario. Sono 136 articoli, ne legga uno a caso e si accorgerà che neanche uno, dico, neanche uno, viene di fatto rispettato”. A parlare così è Enrico Sbriglia, direttore del carcere di Trieste, ma soprattutto segretario generale del SIDIPE, il sindacato che rappresenta la maggior parte dei dirigenti. Davanti a palazzo Vidoni, sede del Ministero della Funzione Pubblica, ci sono molti di loro, provenienti da tutta Italia a rappresentare i disagi nei 216 penitenziari. Protestano “vestiti a lutto” per denunciare la crisi drammatica del sistema carcerario. Un sistema che non li ha ancora neanche contrattualizzati, e li costringe a far riferimento alle norme che regolano i rapporti di lavoro dei funzionari della Polizia di Stato. “Come se facessimo lo stesso mestiere”, commentano. E aggiungono: “E comunque con una simpatica differenza: che il nostro stipendio non è soggetto alle stesse loro dinamiche, ma è fermo alle fasce minime. Da sempre”.
La promessa di Brunetta. Una delegazione è stata ricevuta da un alto funzionario del Ministero, il dottor Gallozzi il quale, evidentemente su mandato del ministro, ha assicurato che entro la metà di questo mese si aprirà un tavolo di contrattazione su tutta la “partita”, che riguarda il contratto di lavoro, ma soprattutto le misure che il governo dice di voler adottare per risolvere la questione del sovraffollamento delle celle e dell’applicazione di tutte le norme dell’Ordinamento penitenziario, compresa – ad esempio – quella scritta al Capo II, paragrafo 5: “Gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo tale da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati. Gli edifici devono essere dotati, oltre che di locali per le esigenze di vita individuale, anche di locali per lo svolgimento di attività in comune”.
Il peso sugli agenti di custodia. Nel frattempo però, in carcere si continua a vivere in celle di pochi metri quadrati, in condizioni igieniche spesso inaccettabili e che diventano luoghi dove maturano stati di tensione e violenza capaci di mettere a durissima prova gli agenti di polizia penitenziaria, già appesantiti da una congenita carenza di personale. La manifestazione dei direttori delle carceri italiane è servita anche a ricordare, una volta di più, che a fronte di una capienza complessiva di poco più di 45 mila detenuti, gli istituti di pena ne ospitano attualmente circa 68 mila. “Tutta gente – dice un’alta funzionaria del Dap, il Dipartimento centrale dell’Amministrazione penitenziaria – che potrebbe benissimo scontare la sua pena con misure alternative. sono la maggior parte del mondo penitenziario, che hanno trasformato le nostre carceri in ‘discariche sociali’, dove è il disagio dei nostri tempi a prevalere e non il crimine a prevalere. Il problema – ha aggiunto – è che in questi ultimi anni ha prevalso una politica punitiva, alimentata da un bisogno di sicurezza più indotto che reale. Una politica che però viene smentita dalla realtà . Risulta infatti che la reiterazione del reato è molto più frequente fra chi ha un passato da rinchiuso in in cella per 20 ore al giorno senza fare niente, piuttosto che fra quanti ha goduto di misure alternative”.
Le solidarietà della politica. Sandro Savi, responsabile del settore carcerario per il Partito Democratico, ha partecipato alla manifestazione: “Il PD è al fianco dei dirigenti degli Istituti penitenziari e degli uffici dell’esecuzione penale esterna, le strutture che si occupano delle misure alternative al carcere. Nelle attuali drammatiche condizioni del nostro sistema penitenziario – ha aggiunto Savi – non è accettabile che dopo cinque anni di vacanza contrattuale il governo non abbia attivato la negoziazione per questi operatori impegnati ogni giorno a garantire legalità , umanità e cura delle persone detenute. L’annunciato blocco per ulteriori quattro anni delle contrattazioni del pubblico impiego avrebbe per questo settore effetti devastanti di vuoto normativo e di precarizzazione di professionalità fondamentali dello stato”.
La lotta di Pannella. “Lo Stato italiano – ha detto Mario Staderini, segretario di Radicali Italiani, presente assieme ad Emma Bonino al sit in – ad ogni livello, continua a trattare le carceri come discariche sociali, dove i direttori degli istituti e chi vi lavora sono abbandonati, al pari dei detenuti, in una voragine che inghiotte tutto, dalla legalità ai diritti umani. Perfino i diritti sindacali, visto che molti direttori hanno dovuto prendere un giorno di ferie per manifestare”. “L’amnistia che chiediamo – ha sottolineato la vicepresidente del Senato, Enna Bonino, ricordando lo sciopero della fame di Marco Pannella iniziato a fine aprile – è innanzitutto per la Repubblica, per la condotta criminale contraria alla Costituzione e alle convenzioni internazionali di cui le istituzioni sono quotidianamente responsabili. Su questo aspettiamo che la Rai apra degli spazi di informazione e dibattito per gli italiani”Erano presenti anche il segretario di Nessuno Tocchi Caino, Sergio D’Elia, il senatore radicale Marco Perduca e la segretaria dell’associazione Radicale, “Il detenuto ignoto”, Irene Testa.
Domani la protesta degli agenti. Domani a protestare a Roma saranno invece gli agenti penitenziari. “L’ugl polizia penitenziaria – ha annunciato il segretario nazionale dell’Ugl polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti – prosegue nella sua campagna per la tutela della dignità e della sicurezza del corpo e proclama una manifestazione nazionale per domattina alle 10, a Roma. Da tempo reclamiamo l’attuazione di un piano straordinario per le carceri – ha aggiunto – che preveda l’assunzione di almeno 5 mila agenti per far fronte al disastroso problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari, ma finora le nostre richieste sono rimaste inevase. Inoltre rivendichiamo un riallineamento di funzionari, ispettori e sovrintendenti ai colleghi della polizia di stato, come da impegni presi dal ministro della giustizia”.
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