by Sergio Segio | 30 Luglio 2011 7:01
BENGASI. La tensione torna a impadronirsi di Bengasi. Fino a ieri l’altro la capitale provvisoria del nuovo stato libico viveva tranquilla, rinfrancata dallo stallo dell’eterna battaglia che si combatte a 200 km di distanza, nel centro petrolifero di Mersa el-Brega. Una calma apparente che si è dissolta d’improvviso nella serata di giovedì, dopo la notizia dell’omicidio del generale Abdel Fattah Younes, 67 anni, capo di stato maggiore degli insorti libici.
L’indomani dell’agguato resta ancora fitto il mistero su cause e circostanze. Il generale, nella giornata del 28 luglio, si trovava lungo la linea del fronte orientale che, in queste ultime settimane, si è assestata a pochissimi chilometri dal centro abitato di Brega. Sarebbe stato richiamato d’urgenza a Bengasi, direttamente dal Consiglio nazionale di transizione. Subito dopo l’attentato, il capo del Cnt, Mustafa Abdul Jalil, ha convocato una conferenza stampa presso l’Hotel Tibesti che, assieme all’Ouzu, rappresenta ormai una delle sedi di rappresentanza del Cnt. La versione ufficiale è che Younes fosse atteso da una commissione giudiziaria, per discutere di questioni militari. Ma nella piazza principale di Bengasi, ribattezzata «Tahrir» e gremita per il venerdì di preghiera, sono in molti a pensare a una trappola, ordita ai danni del generale. Da chi? Si riaffaccia l’incubo delle spie di Gheddafi e del terrorismo. Sulla testa di Younes il Colonnello aveva messo una taglia. E a Bengasi è ancora vivo il ricordo delle due auto-bomba piazzate, tra giugno e luglio, nei parcheggi dei maggiori alberghi cittadini. «Younes era il braccio destro di Gheddafi – osserva invece Yussuf, uno dei militari che sorvegliano l’afflusso nella piazza -, su di lui, sin dall’inizio, non sono mancati i sospetti». C’è chi parla di un interrogatorio in cui Younes avrebbe dovuto difendersi dall’accusa di alto tradimento. L’unico dato certo è che a quell’appuntamento non è mai arrivato. à‰ stato assalito da più uomini armati, uno dei quali è stato arrestato. Nel conflitto a fuoco hanno perso la vita anche due alti ufficiali che si trovavano in auto insieme a lui.
«Abdel Fattah Younes è un eroe della rivoluzione iniziata il 17 febbraio», ha detto Jalil, annunciando tre giorni di lutto. La bara è stata esposta per tutta la giornata di ieri nella piazza centrale di Bengasi. Ma la violenta morte del generale getta luce anche sulle carenze di un esercito, quello dei ribelli cirenaici, che fin dall’inizio della sommossa deve patire, oltre alla carenza di armamenti e allo scarso addestramento militare, anche una feroce lotta intestina ai vertici stessi del comando. Lo scontro che opponeva Younes al carismatico e controverso colonnello Khalifa Hifter era noto a tutti, qui. Da una parte l’ex braccio destro di Gheddafi, il potente ministro dell’interno che, pochi giorni dopo i primi fuochi della sommossa, aveva sposato la causa degli insorti. Dall’altra l’eroe nazionale, decorato durante la guerra in Ciad degli anni ’80 e costretto per 20 anni all’esilio negli Usa, perché non più in linea con il regime. Una diatriba che rispecchia quella più ampia presente all’interno dello stesso Cnt, tra gli ex uomini di spicco del vecchio regime, passati a febbraio dalla «parte del popolo», e coloro che invece quel regime hanno iniziato a combatterlo decenni prima, dall’estero.
Tra marzo e aprile, le redini dell’esercito ribelle passavano perennemente dalle mani di Younes a quelle di Hifter. Negli ultimi tre mesi, tuttavia, il Cnt aveva cercato di presentare un volto più disciplinato, quanto meno ai media internazionali. Difficile per i giornalisti occidentali reperire informazioni concrete sull’andamento reale della battaglia a Mersa el-Brega. L’accesso alla «frontline» al momento è vietato per la stampa estera, costretta a rimanere appena fuori Ajdabyah, una trentina di km dal fronte. «Negli ultimi giorni abbiamo perso un po’ di terreno – raccontano i soldati di ritorno dalla prima linea -, forse non vogliono che si sappia troppo in giro».
Anche i panni sporchi tra Younes e Hifter, finora, si erano lavati in famiglia, presentando all’esterno il primo come l’unico capo di stato maggiore e minimizzando il ruolo del secondo. Ma evidentemente c’era dell’altro.
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