Pisapia cambia Atm Via Catania azzerati i vertici

by Sergio Segio | 30 Luglio 2011 6:45

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MILANO — Il manager cresciuto tra i microchip è stato licenziato con una lettera. Questa è la legge, quella è la porta: «Sono stupito e indignato» . Elio Catania era entrato nel palazzone di Foro Buonaparte nel 2007, cooptato da Letizia Moratti, uomo di fiducia di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, chiamato a dirigere Atm «per la pluriennale esperienza gestionale e manageriale» maturata tra Ibm ed Fs, contro i sospetti della Lega e le accuse dell’Ulivo.
 L’uscita di scena è, se possibile, ancora più imbarazzante. Catania ha ostentato fino all’ultimo serenità , s’è premurato di sottolineare che «l’azienda è solida e sana» e ha ricordato al suo azionista che i «soldi derivanti dall’aumento dei biglietti non finiranno in un pozzo nero di Parentopoli e inefficienze, ma in una macchina che ha dimostrato grande capacità  operativa e un uso oculato delle risorse» .
 Il suo azionista, il sindaco Giuliano Pisapia, l’ha fatto fuori tre giorni dopo. Catania è la prima, vera testa coronata a cadere dopo quella di Letizia Moratti. Il vento non cambia le regole dello spoil system, anche se Pisapia assicura che «è stata una scelta strategica e non politica» . «I numeri e i risultati» . Catania, ogni volta, li mette davanti a tutto: «Per me parlano i bilanci» . Nel 2004, dopo 34 anni di Ibm tra l’Italia, Parigi, Greenwich e il quartier generale di Armonk, aveva accettato l’invito di Tremonti (con cui condivide l’esperienza dell’Aspen Insitute) ed ereditato le Ferrovie indebitate di Giancarlo Cimoli. Una grana. Due anni dopo, le Fs hanno accumulato 465 milioni di perdite e Catania viene accompagnato alle dimissioni da Tommaso Padoa-Schioppa.
La sua buonuscita multimilionaria, tuttavia, resta una macchia nera nella sua carriera. I soldi. Elio Catania paga alla causa di Pisapia, la tenacia nel difendere il doppio stipendio e una certa disinvoltura nelle assunzioni di alcuni amici da Ibm ed Fs. Due anni fa, incalzato dalla Corte dei Conti, Catania era riuscito ad aggirare le restrizioni di legge facendosi nominare group Ceo delle undici società  che compongono la galassia Atm. Sommando le poltrone di presidente e amministratore delegato accumula una remunerazione compresa tra i 366 mila e i 450 mila euro (parte variabile inclusa).
Ci sono poi le cariche ricoperte nei consigli di Telecom (110 mila euro annui più altri 100 mila per le funzioni nei comitati) e Intesa SanPaolo (150 mila euro), qualche altro impegno accessorio e una pensione Inps da 12.276 euro netti al mese.
Nato a Catania nel ’ 46, una laurea in Ingegneria elettrotecnica alla Sapienza di Roma, un Master’s degree of management science al Mit di Boston, il debutto in Ibm a soli 24 anni, la scalata alle società  di Stato, l’approdo a Milano. L’ingegnere dice spesso che «gli esami non finiscono mai» e pensava d’aver superato anche quello in Atm. La società  ha chiuso il 2010 con 903 milioni di ricavi, in crescita dell’ 1,7%, un utile netto balzato del 53%a 6,8 milioni. Si sentiva inattaccabile, Catania. Tagli lineari alle consulenze. Zero scioperi interni in tre anni. Dodici accordi sindacali. Premi di risultato, asili aziendali, welfare. Tra il 2007 e il 2010 ha autofinanziato il 57%degli investimenti e staccato al Comune dividendi enormi. A chi gli faceva notare che la fede morattiana era un handicap, Catania rispondeva lapidario: «Non c’è un modo di destra e uno di sinistra per governare un’azienda» . Forse si sbagliava.

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