by Sergio Segio | 14 Luglio 2011 16:22
Se dovessimo fare affidamento soltanto sul pesce pescato in acque britanniche, già entro questo fine settimana ci ritroveremmo senza. L’Atlantico del Nord un tempo era tra i mari più pescosi del pianeta, mentre oggi l’Europa – malgrado abbia una delle più grandi flotte di pescherecci al mondo – è costretta a importare i due terzi del proprio fabbisogno di pesce.
Invece che a una produzione record, assistiamo a un eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche, che ormai colpisce i tre quarti delle riserve d’Europa. In un mondo sempre più affamato di proteine, e in particolar modo della salutare carne di pesce, ciò è già abbastanza grave. Oltre a questo, però, paghiamo cara questa cattiva amministrazione: se non fosse per le sovvenzioni pagate dai contribuenti, una buona fetta dell’industria ittica europea fallirebbe. Per tenerla a galla – è il caso di dire – paghiamo svariati miliardi di euro l’anno, metà dei quali vanno alla Spagna.
Le cose potrebbero andare ben diversamente. Se tutto funzionasse come dovrebbe, l’Europa trarrebbe profitto dalle tasse imposte per i grossi quantitativi di pescato a un settore produttivo in buone condizioni. Le acque europee sarebbero simili a quelle che bagnano America, Nuova Zelanda e Australia, paesi in cui le quote fissate in base ad affidabili dati scientifici hanno incrementato considerevolmente le risorse ittiche e di conseguenza gli utili.
Il dottor Rainer Froese, dell’Istituto Leibniz per le scienze marine, ha calcolato che se l’Europa seguisse quegli stessi criteri nel giro di quattro o cinque anni i suoi utili triplicherebbero, le risorse ittiche quadruplicherebbero e il pescato aumenterebbe del 60 per cento. Alcune specie si riprenderebbero più rapidamente, altre mai, ma anche in un arco di tempo così limitato secondo Froese “si potrebbe raggiungere una situazione ideale”.
Per fortuna dell’Europa, Maria Damanaki è un commissario per la pesca progressista, che sta dalla parte giusta: quella dei pesci. Damanaki ha ben compreso infatti che il suo compito consiste nel proteggere e tutelare le risorse ittiche che a loro volta sfamano i pescatori, mentre il suo predecessore pareva pensarla in modo diametralmente opposto.
Proprio ieri Damanaki ha annunciato la fine della famigerata Politica comune per la pesca, che ci ha portati a questa triste situazione, e ha aperto le porte a un’era di maggior ragionevolezza con queste parole: “Non possiamo permetterci di continuare a fare affari come al solito. Dobbiamo cambiare sistema”. Purtroppo, non lo faremo. Malgrado qualche segnale positivo, infatti, il suo discorso dimostra che non è riuscita a sconfiggere i veri colpevoli di questa situazione: i ministri del Consiglio dell’Ue per la pesca e i loro abili complici, i lobbisti dell’industria ittica.
D’altro canto è positivo che alcune specie stiano per essere inserite in piani di gestione a lungo termine, al di là delle competenze dei ministri, e che il Parlamento europeo per la prima volta abbia diritto di parola su ogni riforma, così che l’opinione pubblica potrà avere maggiore influenza. Come ha dimostrato il famoso chef Hugh Fearnley-Whittinstall, la pressione dell’opinione pubblica può veramente fare la differenza: grazie in buona parte alla “Hugh’s Fish Fight”, sarà vietata la pratica di gettar via pesce commestibile, il che significa che non saranno più rigettate nelle sole acque dell’Atlantico del Nord ben 1,3 milioni di tonnellate di pesce.
L’Europa già ora paga alcuni scienziati per definire quanto pesce è possibile pescare senza intaccare le riserve ittiche. Se poi, prima di stabilire le quote definitive, lasciassimo anche un certo margine di sicurezza, presto avremmo nuovamente mari pescosi.
Il fatto è che la riforma proposta da Damanaki non vincola ai consigli della scienza: la sua dichiarazione è stata quanto il meglio che si potesse dire di fronte a questa estesa opposizione, e c’è da aspettarsi che i suoi propositi risulteranno ancor più annacquati.
Pare proprio che le razzie continueranno. Damanaki assicura che le riserve ittiche europee sono una risorsa di tutti, ma le decisioni più importanti al loro riguardo sono prese a porte chiuse dai ministri del settore, che persistono a ignorare i dati scientifici a vantaggio di interessi a breve termine. Le informazioni sui dettagli e su chi abbia votato cosa non sono mai rese note.
Il ministro per la pesca del Regno Unito, Richard Benyon, dice che sarebbe favorevole a privare del diritto di voto chi supera le quote fissate, ma pare che troppi dei suoi colleghi non siano d’accordo. Di conseguenza, andrà sprecata una grande occasione e continueremo con questa gestione irresponsabile. Come al solito. (traduzione di Anna Bissanti)
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