Perù, il 28 s’insedia Humala. Usa, le ragioni di una sconfitta

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 Si approssima il 28 luglio, il giorno in cui in Perù si insedierà  il nuovo presidente della repubblica Ollanta Humala, eletto nel ballottaggio del 5 giugno scorso. A uscire sconfitti da questa elezione sono sicuramente gli Stati uniti, il cui ambasciatore, Rose Likins, aveva apertamente sostenuto la campagna a favore di Keiko Fujimori, rivale di Humala al secondo turno. Qual era la posta di un’elezione così cruciale per l’America latina?

Il Perù è un paese-chiave nella geopolitica dell’America del sud per tutta una serie di motivi: per le sue dimensioni, perché erede dell’impero Inca, perché nel suo territorio si trova una sorgente del Rio delle Amazzoni, per i suoi porti sul Pacifico, e la sua storia recente come teatro dello scontro tra le forze nazionaliste e le élites filo-Usa.
Nel 1924, Victor Raàºl Haya de la Torre, intellettuale marxista peruviano – marxista assai poco ortodosso – fondò l’Alleanza popolare rivoluzionaria americana (Apra), con l’intento di creare un’organizzazione anti-imperialista panamericana. Nonostante le dure repressioni l’Apra ebbe grande successo in Perù, a differenza della maggior parte dei movimenti di sinistra delle Americhe. Infatti aveva capito che le popolazioni rurali, per la maggior parte di lingua quechua, erano state sistematicamente escluse dalla partecipazione politica così come dai diritti culturali. Dopo il 1945, l’Apra aveva cominciato a perdere molti dei suoi connotati rivoluzionari conservando però una forte base popolare. Solo la morte di Haya de la Torre impedì la sua elezione a presidente nel 1980.
Il governo peruviano rimase nelle mani dei conservatori fino al 1968 quando gli scandali delle concessioni petrolifere accesero la miccia del colpo di stato militare degli ufficiali nazionalisti guidati dal generale Juan Velasco Alvarado. I militari andati al potere diedero il via al governo rivoluzionario delle forze armate.
Il governo di Velasco nazionalizzò i giacimenti petroliferi, e poi molti altri settori dell’economia e investì massicciamente nell’istruzione. E, cosa ancora più importante, istituì la scuola bilingue, riconoscendo alla lingua quechua uno status paritario a quello dello spagnolo. Il governo lanciò programmi di riforma agraria e di industrializzazione mirata a sostituire le importazioni.
La sua politica estera si spostò nettamente a sinistra e il Perù instaurò buoni rapporti con Cuba, e prese a comprare le forniture militari dall’Unione sovietica. Dopo il golpe di Pinochet, che rovesciò il governo di Allende in Cile nel 1973, i rapporti tra Perù e Cile si fecero tesi. Si parlò perfino di guerra ma poi, nel 1975, Velasco fu deposto dalle forze armate schierate con la conservazione. Così si concluse il settennato nazionalista e militare peruviano con un programma socioeconomico di sinistra.
Alan Garcà­a, eletto presidente nel 1985 in quanto leader dell’Apra, rinnovò brevemente la tradizione di sinistra proponendo una moratoria sul debito estero. Ma i suoi sforzi in quel senso furono ben presto bloccati e lui si spostò a destra finendo per abbracciare il neo-liberismo. In quel periodo il Perù conobbe diverse insurrezioni, la più famosa delle quali, Sendero luminoso, era basata nella regione rurale andina di Ayacucho.
Durante le elezioni del 1990 un Garcà­a ormai divenuto impopolare si trovò a fronteggiare il famoso romanziere, aristocratico e conservatore, Mario Vargas Llosa, che si presentava con un programma economico strettamente neo-liberista. Inaspettatamente fra i tre concorrenti risultò vincitore un peruviano di origine giapponese quasi sconosciuto, Alberto Fujimori, la cui forza elettorale era in gran parte prodotta dal rifiuto popolare per l’estraneità  aristocratica di Vargas Llosa.
Fujimori non esitò a praticare uno stile dittatoriale e a ricorrere all’esercito per schiacciare Sendero luminoso così come qualsiasi gruppo insurrezionale urbano. Per difendere il suo governo Fujimori chiuse il parlamento, interferì col potere giudiziario e si assicurò un secondo mandato. Ma la forte corruzione e il pugno duro con cui governava ne produssero il rovesciamento. Fuggito in Giappone, fu processato in contumacia e condannato a 25 anni di carcere.
Il suo successore nel 2001, Alejandro Toledo, continuò il programma neoliberista. E nel 2006, Alan Garcà­a si presentò nuovamente alle elezioni. Il suo rivale, Ollanta Humala, era apertamente sostenuto dal venezuelano Hugo Chà¡vez. Quel sostegno e le accuse di violazione dei diritti umani quand’era ufficiale dell’esercito ne impedirono la vittoria. Garcà­a vinse e allargò la sua politica neo-liberista. L’economia conobbe un’espansione dovuta al boom delle esportazioni energetiche e minerarie. Ma la massa della popolazione fu tagliata fuori dai suoi benefici. Tipicamente la terra nella regione amazzonica fu concessa a compagnie transnazionali per lo sfruttamento delle risorse minerarie ma il movimento indigeno fece resistenza e nel giugno 2009 si arrivò al massacro di Bagua, in Amazzonia, noto come el Baguazo.
È in quest’ultimo periodo che il Perù si trova al centro di due sconti geopolitici. Uno tra Brasile e Stati uniti: sotto la presidenza di Lula il Brasile aveva lottato con successo per assicurare l’autonomia sudamericana attraverso la costituzione di strutture regionali quali Unasur e Mercosur.
Gli Usa hanno cercato di contrastarlo lanciando la Pacific Alliance fra Messico, Colombia, Cile, e Perù basata su accordi di libero scambio con gli Stati uniti. Inoltre Colombia, Perù e Cile, hanno creato una Borsa comune (Mila, secondo il suo acronimo spagnolo). Mentre le forze armate peruviane si collegarono attivamente al Comando sud statunitense.
Il secondo scontro geopolitico è quello tra Cina e Usa, entrambe in cerca di un accesso privilegiato alle risorse minerarie ed energetiche sudamericane, in cui ancora una volta il Perù occupa una posizione strategica.
A permettere la vittoria di Humala sono stati tre fattori: prima di tutto aver imboccato apertamente la strada socialdemocratica brasiliana, facendo scomparire Chà¡vez dai suoi discorsi. Humala nei frequenti incontri con Lula ha parlato del Perù come futuro «partner strategico» del Mercosur.
Il secondo elemento critico è stato il forte riconoscimento ricevuto da Vargas Llosa. L’aristocratico conservatore aveva preannunciato la catastrofe per il Perù se fosse stata eletta la figlia di Fujimori che avrebbe liberato il padre dalla prigione e continuato a governare con lo stesso stile corrotto di lui. Vargas Llosa ha così prodotto una grave scissione tra le forze conservatrici.
Terzo elemento critico la posizione della sinistra peruviana che da sempre aveva le sue riserve nei confronti di Humala. Come ha scritto Oscar Ugarteche, intellettuale di punta della sinistra, per l’agenzia di stampa latino americana Alai-AmLatina: «Per tutti noi Humala è un punto interrogativo ma Fujimori è una certezza».
Ugarteche ha riassunto le elezioni dicendo «l’elemento più significativo comunque è stato il ritorno del Perù in Sudamerica».
Vedremo che cosa riuscirà  ad ottenere Humala nella politica interna quanto a ridistribuzione della ricchezza e a riconoscimento dei diritti della maggioranza indigena.
Intanto però la controffensiva geopolitica Usa, la Pacific Alliance, è stata sconfitta.
*Traduzione di Maria Baiocchi


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