Pd sotto accusa, l’ira di Bersani “La macchina del fango non ci fermerà ”

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ROMA – «Chi è buono e chi è cattivo, lo si giudicherà  nella valle di Giosafat… «. Ma Pier Luigi Bersani non è nello stato d’animo di ironizzare su se stesso, ed è l’unico motto “alla Crozza” che si concede. È adirato il segretario del Pd. La lettura dei quotidiani ieri mattina, del Giornale della famiglia Berlusconi e di Libero in particolare lo ha convinto all’offensiva. «Le critiche le accettiamo, le aggressioni no, le calunnie no, il fango no», scandisce Bersani, annunciando che «da ora cominciano a partire le querele e le richieste di risarcimento». E partono davvero subito: il Pd in serata dà  mandato ai suoi legali di querelare sia Giornale sia Libero.
L’idea del segretario però è quella di promuovere una class action: se è vero che il partito è «una proprietà  indivisa», allora è un insulto per ciascuno dei suoi componenti quanto è stato scritto dai giornali della destra che hanno paragonato il Pd alla ‘ndrangheta, definendo “pizzo” il versamento al partito di parte degli stipendi di chi ha incarichi pubblici. Il “caso” Penati e la vicenda Tedesco stanno scuotendo il Pd che «deve tenere gli occhi aperti», riconosce il leader democratico, però «i Democratici sono totalmente estranei a tutte le vicende di cui si parla. Lo dico alla macchina del fango: se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso, abbiamo capito, queste vicende con ci faranno chiudere la bocca su quanto sta accadendo».
E quanto sta accadendo sul fronte del centrodestra è di portata inaudita, anche perché sembra non scuotere l’opinione pubblica e non avere conseguenze su un governo a pezzi. Bersani si riferisce a Tremonti. Milanese ha parlato di affitto pagato in nero settimanalmente dal ministro delle Finanze al suo collaboratore. «Su Tremonti – afferma Bersani – aspetto anch’io spiegazioni come tutti, non so se devo prendere per buono quello che dice Milanese. Attendo chiarezza». Si meraviglia Bersani che nei Tg non si sia parlato della vicenda-affitto di Tremonti e di non avere visto «neppure un editorialino».
Di certo su Tedesco – l’ex assessore alla sanità  pugliese, ora senatore, sotto inchiesta – errori ne sono stati commessi: è vero che i Democratici erano pro arresto di Tedesco e lui stesso aveva invitato i colleghi senatori a votare per il suo arresto, salvo poi – una volta “assolto” dall’aula, che ha negato l’autorizzazione a procedere – avere fatto retromarcia. La tanto invocata diversità  della sinistra in fatto di questione morale è ormai archiviata? Ne è convinto Luigi De Magistris, neo sindaco di Napoli ed ex magistrato: «Non esiste la superiorità  morale della sinistra. Men che meno del Pd. In questo momento esiste una gran voglia di politica dalle mani pulite che viene dal basso». Tuttavia Bersani cita il buon esempio di Penati «che ha compiuto un gesto significativo, lasciando tutte le cariche».
Lo stato maggiore del Pd condivide l’offensiva bersaniana. Dario Franceschini ripete che il berlusconismo al tramonto è la fase più pericolosa e che gli attacchi saranno respinti. Di questo pericolo sono consapevoli tutti. Assicura il vice segretario, Enrico Letta che «la reazione del segretario è quella dell’intero Pd». Che Bersani abbia fatto bene a reagire ne è convinta Rosy Bindi: «Il nostro è un partito pulito, rigoroso e trasparente». Del resto, commenta Beppe Fioroni, «il fango ricade su quelli che lo generano, sul centrodestra». Dalla maggioranza Gasparri replica: «Macchina del fango? Il Pd parli della macchina dei soldi». Ma il cuore del problema è «mandare a casa questo governo; la Lega, o qualcun altro – è l’appello di Bersani – crei le condizioni per salire al Quirinale», perché il paese non si può permettere di stare ancora nella palude. Un ricambio generazionale nel partito è indispensabile per Goffredo Bettini, che elenca Zingaretti, Enrico Rossi e Roberto Speranza come gli uomini nuovi su cui puntare. E Bersani ieri sera in un comizio a Parma è tornato sulla questione morale.


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Il vigore necessario al cambiamento della società  (e degli individui)

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Senza vigore non si campa e non si vince. E se uno non ce l’ha, non se lo può dare. C’è da credere che nelle scelte prossime nella Chiesa e nella politica il vigore (in atto per qualcuno, da rilanciare per altri) avrà  il suo peso. Del resto, senza vigore nessun soggetto (Pontefice, Curia, conferenze episcopali, partiti, leader politici, istituzioni) può pensare di affrontare il travaglio del «riposizionamento», unica strategia per sopravvivere e riprendere a crescere.

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