Parlamentari, sindaci e segretari le truppe di Bobo si prendono il Carroccio

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MILANO – «Ritorno alle origini», gongola il maroniano di ferro Flavio Tosi, sindaco di Verona. È un modo per dire che all’indomani del voto su Papa, l’ala della Lega raccolta attorno al ministro dell’Interno si sta prendendo il partito. Richiamandosi direttamente agli umori di una base sfiancata dalla convivenza forzata con Berlusconi: «Ha commesso troppi errori – insiste Tosi – e noi siamo stati costretti a pagare dazio; adesso dovrebbe farsi da parte e a indicare il nuovo premier saranno Bossi e Alfano». Insomma, nulla contro il Grande Capo («grande gioco delle parti tra lui e Maroni», ancora Tosi), ma è difficile non pensare che l’iniziativa di «Bobo» nel caso Papa serva non solo a definire una strategia per l’immediato futuro, ma soprattutto a ridisegnare i rapporti di forza dentro al movimento. Con le truppe maroniane sempre più forti.
L’uomo del Viminale gode di un consenso fortissimo nel gruppo parlamentare della Camera. Su 59 deputati, 49 avevano firmato per sostituire il presidente Marco Reguzzoni (esponente di spicco degli iperbossiani del cerchio magico) con il bergamasco Giacomo Stucchi, molto vicino a Maroni. È andata male solo perché all’ultimo Bossi si è impuntato: salvo poi annunciare, qualche giorno che Stucchi a fine luglio sarà  capogruppo. L’elenco dei deputati di osservanza maroniana comprende, tra gli altri, il bresciano Davide Caparini, componente della Vigilanza Rai, il sindaco-deputato di Cittadella Massimo Bitonci, il mantovano Gianni Fava, il segretario dei Giovani padani Paolo Grimoldi. Tra i maroniani più spinti, spicca l’europarlamentare milanese Matteo Salvini.
Maroni ha la maggioranza, sebbene non così schiacciante, anche tra i 26 senatori, ora guidati da un altro “cerchista”, Federico Bricolo, che al recente congresso provinciale nella sua Verona non è riuscito a imporre il proprio candidato alla segreteria: l’ha spuntata un leghista molto vicino a Tosi, che – insieme al varesino Attilio Fontana – guida la nutrita pattuglia di sindaci di fede maroniana. Solo in provincia di Bergamo sono 54 su 56, ma in generale in tutta la Lombardia il punto di riferimento dei primi cittadini in camicia verde è proprio Fontana, distintosi più volte nel criticare gli effetti delle finanziarie targate Tremonti fino a organizzare manifestazioni insieme ai colleghi del centrosinistra. Schierata con l’astro nascente del Carroccio pure una folta rappresentanza di sottosegretari, a cominciare da Sonia Viale e Michelino Davico, di stanza proprio agli Interni. Senza contare che il terzo ministro, Roberto Calderoli, con «Bobo» ha da tempo stretto un patto di ferro che accantona vecchie ruggini. Un ruolo a sé se lo è ritagliato un altro big come il viceministro Roberto Castelli, che tuttavia nella scelta tra cerchisti e i maroniani non sembra avere dubbi, intrattenendo rapporti non certo idilliaci con i primi.
Poi ci sono i segretari regionali. Stanno tutti o quasi col ministro dell’Interno: dal lombardo Giancarlo Giorgetti, al piemontese Roberto Cota, dal romagnolo Gianluca Pini al friulano Pietro Fontanini. Mancano all’appello l’Emilia e la Liguria, perché rette da un commissario che si chiama Rosy Mauro, vicepresidente del Senato e signora del Cerchio magico. Il veneto Gian Paolo Gobbo (è anche sindaco di Treviso), che maroniano non è, di recente ha accentuato le critiche nei confronti del premier: «Il patto con il Pdl va ridiscusso – ha detto ieri – noi non abbiamo sposato né Berlusconi né il Pdl». E si spinge oltre il suo vice Giancarlo Gentilini: «Bossi, come Berlusconi, deve avere il coraggio di delegare certi poteri». Capitolo governatori: Cota con Maroni, come pure il vice leghista di Formigoni, Andrea Gibelli; più ecumenico il veneto Luca Zaia, che tuttavia con l’inquilino del Viminale intrattiene rapporti più che buoni. Insomma, la consistenza delle truppe maroniane è tale da prefigurare l’esito di quella tornata congressuale che adesso viene richiesta con ancora più forza dagli amici di “Bobo”.


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