by Sergio Segio | 13 Luglio 2011 7:40
Parigi – Gheddafi deve abbandonare il potere, altrimenti le operazioni militari in Libia continueranno: Franà§ois Fillon non fa sua l’apertura del ministro della Difesa, Gérard Longuet, che domenica sera aveva ipotizzato una sospensione dei bombardamenti senza la pregiudiziale dell’abdicazione. Di fronte al parlamento, che ha votato il prolungamento della missione francese, subito criticato dal regime di Tripoli, il primo ministro è stato esplicito. Ha detto che «una soluzione politica è più che mai indispensabile e comincia a prendere forma». Ma subito dopo ha ripetuto le esigenze transalpine, in linea con la dichiarazione Cameron-Obama-Sarkozy del 15 aprile: «La condizione per una sospensione delle operazioni militari sono note: un cessate il fuoco autentico e verificabile, che suppone il rientro nelle caserme delle forze di Gheddafi; la fine delle violenze contro le popolazioni civili e il libero accesso degli aiuti umanitari; il ritiro dal potere del colonnello Gheddafi».
La resistenza del dittatore, tuttavia, imbarazza gli alleati, ancor più con l’approssimarsi del ramadan, che comincia il 1º agosto. In quel periodo, gli insorti metteranno fra parentesi le loro azioni militari, mentre la Nato deciderà in base al comportamento del regime: «Se continueranno a bombardare, e pensiamo ci siano rischi in questo senso, la Nato utilizzerà il mandato che ha ricevuto per proteggere le vite umane», ha detto il portavoce dell’operazioni in Libia Mike Bracken. È il momento di tener duro, ha detto ieri Fillon, «la comunità internazionale deve mostrarsi inflessibile». È il segno che Parigi vede bene quanto sia difficile far cadere il colonnello. E l’impasse in Libia diffonde dubbi e interrogativi nei paesi della coalizione, suscita perplessità sulla strategia seguita. Domenica Longuet aveva detto che le operazioni militari avrebbero potuto fermarsi anche con Gheddafi ancora a Tripoli («sarà in un’altra stanza del suo palazzo, con un altro titolo»). Un’ipotesi non condivisa all’Eliseo, anche se il ministro degli Esteri, Alain Juppé, ha confermato l’esistenza di contatti («non un vero negoziato») con emissari del regime. Ma è chiaro che Parigi constata l’assenza di risultati sul campo, malgrado la fornitura di armi ai ribelli. L’idea che si debba comunque venire a patti con il colonnello non è più così campata in aria come settimane fa. Il primo ministro libico, Baghdadi al-Mahmudi, ha detto al Figaro di essere disposto a discutere «senza condizioni, ma non si può discutere sotto le bombe».
Nell’affannosa ricerca di una soluzione politica, Juppé sembra puntare molto sull’Unione Africana, per la quale l’abbandono del potere da parte di Gheddafi non è obbligatorio. Si tratta insomma di trovare le forme per avviare un dialogo che consenta a tutti di non perdere la faccia. Che ci voglia un compromesso è ormai ammissione generalizzata: «La soluzione politica è la sola alternativa per regolare la crisi libica», ha detto Franco Frattini in visita ad Algeri. E il nostro ministro si è detto preoccupato per le conseguenze della crisi: armi e denaro sarebbero finiti in mano ai terroristi del Sahel.
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