Pantelleria, autolesionismo e tentativi di fuga tra i tunisini reclusi

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ROMA – Tensioni, proteste, tentativi di fuga e rischio di nuove rivolte sull’isola di Pantelleria, dove 40 tunisini vivono da dieci giorni in una situazione di grave emergenza sanitaria e umanitaria, stipati dentro un ex magazzino di una caserma dimessa dal ministero della Difesa. Sono sbarcati lo scorso 9 luglio e il loro destino è lo stesso di quello toccato a tutti gli altri migranti arrivati negli ultimi due mesi. Nel silenzio dei media e delle istituzioni, l’ex caserma Barone, che doveva essere ceduta in gestione a privati per diventare un albergo di lusso, è oggi un centro di detenzione per migranti arrivati dal mare. I 40 sono gli ultimi rimasti, dopo che altre decine di tunisini sono stati trasferiti a Trapani, da lì a Palermo e poi rimpatriati con la forza a Tunisi. Lo hanno comunicato gli stessi rimpatriati via cellulare alle persone rimaste a Pantelleria, in contrada Arenella.

“Non sono stati però trasferiti i casi più gravi – denuncia un volontario delle Misericordie, Erik Vallini – c’è un diabetico dipendente dall’insulina, un tossicodipendente che accompagniamo tutti i giorni al Sert per il metadone, un altro ragazzo ha tre fratture a un piede per un tentativo di fuga avvenuto venerdì scorso”. Il piede del giovane andrebbe operato secondo quanto è risultato dalla visita ortopedica in ospedale, ma nulla è stato fatto. “Venerdì 15 luglio la metà  dei reclusi sono scappati, poi sono rientrati quasi tutti – dice Vallini – sabato, domenica e lunedì ci sono stati atti di autolesionismo, la gente si è tagliata, lanciandosi anche contro il filo spinato della recinzione, una persona ha minacciato prima di impiccarsi e poi di darsi fuoco perché chiedeva di essere rimandato in Tunisia pur di non essere trattato così”.

La denuncia arriva attraverso i volontari che operano nella struttura. Non esiste ente gestore, né ci sono mediatori culturali o assistenza legale. Nemmeno un presidio medico all’interno del campo. Soltanto cemento, vecchi edifici, reti metalliche e uomini delle forze dell’ordine. Gli ex magazzini sono grandi circa 300 metri quadrati e sono recintati con il filo spinato. Uno dei due garage è andato a fuoco a giugno durante una rivolta in cui sono stati bruciati dei materassi. Si dorme a terra, senza reti, non c’è riparo dal caldo torrido. E soprattutto non vengono date informazioni ai reclusi su quale sarà  la loro sorte. Soltanto Medici senza frontiere ha mandato un’ispezione che ha confermato le condizioni disumane e indegne della struttura. “Altro che accoglienza, sembra un pollaio”, commenta Vallini.  (raffaella cosentino)

 

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