P4, Tremonti e la paura dei dossier “Non mi faranno fare la fine di Boffo il generale Adinolfi lavora contro di me”

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P4, Tremonti e la paura dei dossier “Non mi faranno fare la fine di Boffo il generale Adinolfi lavora contro di me”
Corre soprattutto questo dietro le quinte dei rapporti tra il ministro Giulio Tremonti ed il premier. Ma quello che il mondo della politica e della Finanza già  sentiva poche settimane fa, ora lo mette nero su bianco lo stesso ministro Giulio Tremonti in un corposo verbale – reso, come persona informata dei fatti, ai magistrati napoletani titolari dell’inchiesta sulla cosiddetta P4 – e allegato agli atti relativi alla richiesta di arresto per Marco Milanese, il deputato Pdl e storico braccio destro del ministro. Un fedelissimo che, accusato di numerosi episodi di corruzione, s’è rivelato anche l’uomo che pagava il fitto della sontuosa casa del ministro a Roma, trascinando Tremonti nell’imbarazzo. Dichiarazioni significative, quelle del ministero del Tesoro, che gettano ombre lunghe sia sul clima di conflitto interno alla Guardia di Finanza, sia su quello che si muoverebbe intorno alla «spinta» verso le dimissioni di Tremonti, «che viene avanzata – dice lui – su alcuni settori della stampa», proprio quando «emergono posizioni fortemente critiche in ordine alla mia attività  di ministro da parte del Presidente del Consiglio». Ombre, non meno inquietanti, lungo le 1100 pagine degli atti allegati all’inchiesta su Milanese, si allungano anche su alcuni parlamentari di altre appartenenza. Nelle stesse carte, difatti, la “gola profonda” Paolo Viscione, l’imprenditore che accusa Milanese, fa riferimento a presunte richieste e pressioni da parte del deputato Francesco Barbato (Idv) e del deputato Antonino Milo (Noi Sud per Iniziativa Responsabile).
Non sarò una vittima alla Boffo
Interrogato dai pm John Woodcock e Francesco Curcio, titolare dell’inchiesta P4 – i quali trasmettono tali dichiarazioni anche al collega Vincenzo Piscitelli che si occupa del caso Milanese – il ministro Tremonti non nasconde affatto dei suoi dissapori con Berlusconi. Ma ricostruisce parola per parola l’ultimo suo vivace confronto con Berlusconi, anche alla luce della telefonata che i magistrati gli fanno ascoltare: un’intercettazione sull’utenza dello stesso generale Adinolfi a colloquio con il presidente del Consiglio. «Con il Presidente del Consiglio ci fu una discussione sulla politica in generale, sulla manovra di pareggio economica da fare» – sottolinea Tremonti – nel corso della quale «io ed il presidente del Consiglio manifestammo posizione diverse sulla politica di bilancio». Ad un certo punto della discussione «sono emerse posizioni fortemente critiche in ordine alla mia attività  di Ministro da parte del presidente del Consiglio. Per inciso e in parallelo su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza, una spinta alle mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. A questo punto – aggiunge significativamente Tremonti – se non ricordo male manifestai la mia refrattarietà  ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella “Boffo”. Ciò trovava riscontro in voci di Parlamento che mi sono permesso di segnalare al Premier». Ma qual è il senso di questa affermazione? Tremonti la chiarisce ulteriormente al pm. «Quando parlo di metodo Boffo mi riferisco alla propalazione sui mass-media di notizie riservate e/o infondate atte a screditare chi viene preso di mira. Non alludevo dunque, come voi mi chiedete, all’utilizzazione di notizie di carattere giudiziarie e riservate per fini strumentali. Con riferimento alla vostra indagine, ne ho appreso solo dai giornali».
La cena segreta con Adinolfi
Tremonti poi si sofferma sul tema delle cordate interne alla Finanza, parla anche della esibita «vicinanza» di qualche generale, come Michele Adinolfi, a Silvio Berlusconi. E a fronte «di un certo attivismo relazionale da parte di alcuni generali in servizio a Roma (…) in prospettiva della nomina a comandante generale», il ministro chiarisce: «Mi sono permesso di suggerire, nella mia qualità  di ministro, al comandante generale di dare alcune direttive nel senso di avere una vita più sobria. Possiamo dire che gli dissi: “Meno salotti, meno palazzi, consegne in caserma”». Ai pm, inoltre, Tremonti racconta che fu Marco Milanese a parlargli di una cena a Napoli a cui avrebbero partecipato, oltre al generale Adinolfi, anche persone vicine al presidente del Consiglio. «In quel contesto – dice ancora il ministro – rappresentai al presidente Berlusconi, in modo, devo ammetterlo, caratterialmente reattivo, tra l’altro, la situazione di conflittualità  in cui si trovano alcune figure di vertice della Gdf. A Berlusconi ricordo che feci il nome di Adinolfi. Più esattamente, ricordandomi di una cena a Napoli gli dissi: “Chiedi conferma ad Adinolfi”. Si trattò di uno sfogo, non avendo io elementi per valutare i comportamenti di Adinolfi sotto il profilo deontologico». Ai magistrati che gli chiedono se alla cena fossero presenti Paolo Berlusconi e Adriano Galliani, Tremonti risponde che «probabilmente Milanese mi fece questi nomi, ma non ne sono sicuro».
Quella telefonata del 7 giugno
I pm fanno poi ascoltare a Tremonti la telefonata del 7 giugno scorso tra il capo di Stato maggiore della Finanza, il generale Adinolfi (indagato nell’inchiesta della P4 per rivelazione del segreto e favoreggiamento) e Berlusconi. E gli chiedono se quest’ultimo avesse utilizzato strumentalmente le Fiamme Gialle contro di lui. «Non ho mai detto a Berlusconi – risponde Tremonti – che lui mi voleva far fuori tramite la Gdf. Ritengo che Berlusconi abbia fatto un erroneo collegamento fra diverse frasi da me pronunciate». Quanto a quel colloquio, osserva. «Non mi sorprende poiché avevo già  voci in Parlamento del rapporto di amicizia o comunque di conoscenza di Adinolfi con il presidente Berlusconi, attesa la comune passione per il Milan». Quando gli chiedono se rientra nella “fisiologia istituzionale” un “rapporto diretto” tra presidente del Consiglio e il Capo di Stato maggiore della Finanza, Tremonti risponde: «Per quanto di mia competenza, mi attengo a criteri istituzionali diversi, e cioè mi relaziono solo con il comandante generale del Corpo».
Viscione parla dell’Idv Barbato e Milo
Agli atti sono allegate anche intercettazioni tra l’inquisito Paolo Viscione, grande accusatore di Milanese, e il parlamentare Francesco Barbato, Idv, conosciuto come autore di denunce e interpellanze contro abusi. Nelle stesse carte si parla anche di Antonio Milo. Entrambi i parlamentari non risultano indagati. Interrogato dal pm Piscitelli su tali rapporti, Viscione fa, tuttavia, dichiarazioni non ancora riscontrate. «(Barbato, ndr) È una persona che sta con Di Pietro, e poi mi dà  appunatementi. Quindi alal fine mi vede alal caffetteria Solano, mi chiede 20mila euro di consulenza e io gli dico: senti, per contanti, senti, bello, vattene».


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