by Sergio Segio | 29 Luglio 2011 6:59
Abbiamo fatto il primo raccolto nel 2005 e ora la resa aumenta anno dopo anno», dice Johathan Jones, direttore commerciale dell’azienda agricola Tregothnan estate: nelle tenute ora coltivano 22 varietà di tè e quest’anno si aspettano un raccolto record, anche oltre le 10 tonnellate, dichiara all’agenzia Reuter.
Cosa c’è di straordinario? Beh, che il tè non era mai cresciuto nella fredda campagna inglese. E neppure le olive, le pesche, le albicocche, i peperoni del Szechuan, o tantomeno le viti da uva – tutta roba che i britannici importano dall’Europa meridionale se non da più lontano ancora – il tè ad esempio da sri Lanka, dalle alture del Darjeeling in India o dalle colline del Kenya…
Il riscaldamento del clima sta trasformando l’aspetto della campagna inglese – la comparsa di coltivazioni una volta inadatte alle temperature di qui è uno dei sintomi. La «migrazione delle specie» è da tempo evocata dagli scienziati che descrivono i possibili impatti del riscaldamento delle temperature terrestri: dove per migrazione si intende che specie proprie di certi climi vanno a colonizzare latitudini più alte (o più in alto sul livello del mare) via via che diventano più calde. Certo, per in paese come la Gran Bretagna il risultato non è necessariamente negativo – al contrario. Le regioni più vicine ai tropici rischiano la desertificazione o sono spazzate dagli uragani, ma nelle isole britanniche nessuno si lamenterà se la campagna fiorisce prima. La Gran Bretagna diventa «più tiepida e più umida», dice il governo. Robert Watson, capo del comitato scientifico presso il ministero dell’ambiente e dell’agricoltura: dice (sempre all’agenzia reuter) che il suo dipartimento sta monitorando da vicino l’impatto del cambiamento del clima sull’aghricoltura e i raccolti. «Non c’è dubbio che è un impatto significativo. Il cambiamento del clima può avere effetti benefici per il regno unito, se non altro perché avremo un periodo vegetativo più lungo con inverni più brevi e primavere più precoci», dice Watson. Molti agricoltori hanno cominciato a trarne le conseguenze. La Cornovaglia, la zona meridionale più calda dell’inghilterra, è al centro di una grande sperimentazione di nuove coltivazioni. Mark Diacono, coltivatore del vicino Devon, scrive nel suo sito web che la sua «fattoria del cambiamento del clima» ora cresce olivi, noci americane, peperoni, albicocche e ora sta tentando con le viti.
David Leaver, professore emerito già preside del royal agricoltural College, fa notare che la possibilità di impiantare nuove coltivazioni in Gran Bretagna dipende non solo dal riscaldamento del clima ma anche dalla capacità di selezionare le specie adatte. Mentre Robert Watson avverte: «Per l’agricoltura l’impatto prevedibile al 2050 sarà per lo più poritivo, ma dipende da dove guardiamo in Gran Bretagna». E più in generale, «se guardiamo al pianeta nel suo complesso, un aumento di 2 o 3 gradi medi complessivi sarà negativo». Allora, anche se il Regno unito (o altre regioni nordiche che ugualmente beneficeranno del clima più tiepido) potrà divertirsi a far crescere vigne e olivi, non servirà certo a risolvere i suoi problemi di paese che dipende in modo pesante dalle importazioni di cibo (oggi la Gran Bretagna importa il 35% dei suoi consumi alimentari). Perché finora gli approvvigionamenti sono garantiti: i supermercati britannici non mancano certo di frutta e verdura provenienti per lo più da paesi meridionali. «Ma il mercato internazionale continuerà a essere una fonte sicura», si chiede Watson, in un clima sempre più insostenibile?
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