Obama studia il piano taglia deficit “Fisco più pesante ma non punitivo”

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NEW YORK – Meno dieci dal baratro, e l’America è costretta a prepararsi all’impensabile. Il banchiere centrale Ben Bernanke incontra il segretario al Tesoro Tim Geithner per i “preparativi” del caso: che fare se tra dieci giorni, il 2 agosto, Washington si trovasse in “default” tecnico, cessazione dei pagamenti federali per esaurimento del limite massimo di debito pubblico autorizzato dal Congresso. Alcuni Stati Usa già  vivono una pre-crisi: dopo che Moody’s ha annunciato la possibilità  di declassamenti generalizzati nei suoi rating, la California e il Maryland sono costretti a rinviare emissioni di titoli pubblici locali. Barack Obama non vuol crederci: «Il default non è un’opzione». Torna a difendere la sua linea di compromesso, il sentiero strettissimo per trovare un accordo bipartisan, tra la Camera a maggioranza repubblicana e il Senato a maggioranza democratica, onde votare il rialzo del tetto del debito. «Non voglio punire i ricchi – dice il presidente – ma i sacrifici devono essere condivisi da tutti». Lo strale è diretto ai repubblicani, soprattutto a quell’ala intransigente della destra che si rifà  al movimento del Tea Party. Una settantina di deputati repubblicani hanno fatto un “giuramento al Tea Party” al momento della loro elezione nel novembre scorso: mai voteranno un centesimo di tasse in più.
Ben venga la bancarotta della più grande economia del mondo, piuttosto che tradire la purezza ideologica del movimento anti-tasse. Obama ha dovuto inventare un neologismo: «Tagliare le spese fiscali», in questo modo designa interventi che tecnicamente non sono aumenti delle imposte, bensì l’abolizione di privilegi fiscali di cui godono gli americani più ricchi e le grandi imprese: dagli ammortamenti dei jet privati alla deducibilità  di maxi-mutui immobiliari. Niente da fare, l’innovazione linguistica non placa i pasdaran della destra. Eppure Obama ricorda che «nessuno è immune da colpe, l’ultimo bilancio in pareggio l’America lo conobbe sotto un presidente democratico, Bill Clinton». Come dire: dov’eravate voialtri repubblicani intransigenti quando George Bush sfasciava la finanza pubblica con gli sgravi ai ricchi e il salasso di due guerre? «Combattere il deficit senza nuove entrate sarebbe ingiusto verso le classi lavoratrici e il ceto medio», dice il presidente. Sono argomenti che anticipano la prossima battaglia elettorale; ma intanto il tempo stringe e le possibilità  di un accordo in extremis sono altalenanti.
Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, raffredda gli entusiasmi che erano stati alimentati giovedì da voci di un compromesso imminente: «L’accordo non è vicino, il week-end sarà  caldo». E non si riferisce solo all’ondata di canicola che attanaglia tutta la East Coast. Com’era prevedibile, il Senato ha bocciato (51 no contro 46 sì) la legge passata alla Camera che avrebbe imposto il pareggio di bilancio nella Costituzione, e un tetto di spesa pubblica al 18% del Pil. Una legge-simbolo, votata dalla destra come un manifesto ideologico. Se Obama e Boehner fossero padroni del gioco, le probabilità  di accordo sarebbero al 99%, ma le due ali estreme della sinistra radicale e della destra anti-Stato possono ancora creare la sorpresa, l’incidente drammatico.


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