Murdoch, crolla il mito di Scotland Yard

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In Gran Bretagna la gente normalmente si fida della polizia e la ama. Le forze dell’ordine sono organizzate per contea e alcune grandi città , come Londra, hanno una loro polizia. I poliziotti britannici non fanno parte delle forze armate, come i carabinieri in Italia e i gendarmi in Francia, che spesso operano in aree del Paese lontane da dove sono nati: i poliziotti britannici di solito lavorano nei quartieri.
E normalmente non sono armati. Per circa vent’anni, fino alla metà  degli Anni ’60, uno dei programmi televisivi più popolari era Dixon of Dock Green, un telefilm che raccontava la vita e il lavoro di un agente del Metropolitan Police Service (la polizia londinese, chiamata più comunemente Scotland Yard dall’indirizzo del suo precedente quartier generale). Dixon era un uomo per bene, rispettabile, determinato e amichevole con tutti: anche quando catturava un criminale (e li catturava spesso) cercava in lui un lato buono.
Ma nello stesso periodo in cui il telefilm terminava, a capo della Metropolitan Police veniva nominato un uomo con la missione esplicita di sradicare la corruzione. Sir Robert Mark si ritrovò in una forza di polizia dove la corruzione era endemica e spregiudicata. Gli ispettori stringevano accordi pecuniari con rapinatori di banca, spacciatori di droga e pornografi. In seguito, nel suo libro di memorie, Mark scrisse: «Avevo servito per trent’anni in polizie di provincia e anche se avevo assistito a pratiche illecite, non avevo mai visto un malaffare istituzionalizzato, una cecità , un’arroganza e un pregiudizio di proporzioni lontanamente simili a quelle che alla Metropolitan Police erano considerate la norma». Quando andò in pensione, nel 1977, Scotland Yard era, se non completamente pulita, quantomeno non profondamente corrotta.
L’incubo con cui ora si trovano a fare i conti i cittadini britannici è: quella corruzione endemica e spregiudicata è tornata? Ieri tre alti funzionari di polizia – Peter Clarke, John Yates e Andy Hayman – sono comparsi di fronte a una commissione parlamentare per cercare di spiegare perché nel 2009 non abbiano agito sulla base delle prove, quasi tutte in loro possesso, di sistematici comportamenti illeciti all’interno del News of the World e di altri settori di News Corp.
Per giustificare la loro inazione i tre hanno sostenuto che non disponevano delle risorse necessarie, perché le forze erano assorbite dalla lotta contro il terrorismo. Hanno detto inoltre di essersi concentrati sulle accuse di intercettazioni illegali dei cellulari dei principi William e Harry e che la dirigenza del News of the World aveva mentito loro. Sono scuse che non stanno in piedi: come ha detto la vicecomandante della Metropolitan Police, Sue Akers, quando glielo hanno chiesto, «Ho 45 persone che stanno lavorando su questo caso; non è un problema con una forza di polizia di oltre 50mila agenti». E dei poliziotti con tanti anni di esperienza alle spalle dovrebbero essere abituati a sentirsi raccontare bugie (e a scoprire la verità ). Il presidente della commissione, il laburista Keith Vaz, ha detto che la deposizione dei tre funzionari «non è stata convincente».
Tutti sono convinti che i poliziotti abbiano ricevuto mazzette dai giornalisti. Quando all’inizio della mia carriera facevo il reporter per un quotidiano della sera, vidi un giornalista che passava una bustarella a un sergente in cambio dell’indirizzo di una persona che voleva intervistare: rimasi esterrefatto, ma non dissi e non feci nulla. In seguito mi dissero che se volevi qualcosa in fretta dovevi fare così.
La domanda è: c’era molto di più di quello? Gli alti funzionari – uno dei quali, Andy Hayman, successivamente ha avuto un lavoro molto ben remunerato come editorialista sul Times – hanno deliberatamente deciso di non tener conto delle prove che dimostravano che erano stati commessi numerosi reati? È questo l’incubo in un Paese che ama amare la sua polizia.
(Traduzione di Fabio Galimberti)


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