by Sergio Segio | 15 Luglio 2011 7:01
No, la birra no. Va bene i 26 musei chiusi, le licenze di caccia e pesca sospese, lo zoo sbarrato. Va bene che un terzo dei 4.200 secondini siano stati mandati a casa, che la lotteria di stato non funzioni, che i parchi pubblici siano impraticabili, che cento cantieri autostradali siano stati fermati e tutte le aree di sosta chiuse. E va bene, anzi benissimo, che le telecamere anti-traffico siano spente, così come i caselli autostradali. Ma la birra no.
È scaduta la licenza di MillerCoors, il birraio più famoso del Minnesota e il secondo più grosso del paese. Le sue quasi quaranta diverse birre dissetano un paese di cinque milioni di tracannatori, ogni minnesotan beve in media 110 litri di birra l’anno, il totale mette il piccolo Minnesota nella top five delle vendite americane di birra.
E la licenza è scaduta. Il 30 giugno. Esattamente il giorno prima che il Minnesota facesse shutdown, cioè chiudesse per fallimento. L’addetto al rinnovo licenze è uno dei 24mila dipendenti pubblici considerati noncritical ed è stato mandato a casa. Il birraio aveva provato a rinnovare la licenza in anticipo, ma aveva pagato troppo e l’assegno era tornato indietro, insieme a una lettera in cui lo stato comunicava che la licenza era scaduta. Poi lo shutdown: niente più impiegati dietro lo sportello, niente più licenze, niente più birra. «Abbiamo scorte per due settimane, poi cosa faremo?» si dispera Frank Ball, rappresentante della Minnesota Licensed Beverage Association. «La birra da meno di tre gradi, quella che si può vendere senza licenza? Bevetevela voi».
Quattordicesimo giorno dell’era del fallimento, il 1. luglio il Minnesota ha chiuso per bancarotta ma la vita continua, nessuna insurrezione per il dipartimento per l’educazione chiuso, la motorizzazione civile sbarrata, l’assistenza ai minori interrotta come i servizi pubblici per i sordi, gli anziani, i disabili, gli ex carcerati, i buoni-pasto per i poveri, le licenze di matrimonio, l’assistenza ai veterani, i circuiti per le corse automobilistiche, i rimborsi delle tasse… Ma la birra no. Quella provoca proteste, commenti ironici (del Wall Street Journal, tra gli altri) e titolacci dei giornali locali, che per il resto pubblicano allegre «guide to the shutdown» per affrontare la vita senza stato. Non impossibile, sembra, anche se presenta le sue difficoltà : per un pezzo di carta da venti dollari, il signor MillerCoors rischia di rimetterci qualche decina di milioni e un indotto di circa 400 bar e locali pubblici gli va dietro, per ora si riforniscono di nascosto e comprano ogni stock su cui riescono a mettere le mani, ma è illegale. E la polizia di stato non è stata toccata dallo shutdown, come pure tribunali e carceri…
Non è la prima volta che uno stato americano «fallisce», cioè chiude temporaneamente i battenti e si riduce alle attività considerate essenziali. Accadde al Wisconsin, alla California, all’Arkansas, al Missouri, allo stesso Minnesota nel 2005. Accadde persino allo stato federale, presidente Clinton, che nel 1996 «chiuse» per quindici lunghissimi giorni. Ancora uno e il Minnesota batterà il record.
Lo shutdown del Minnesota ha radici politiche: il precedente governatore Tim Pawlenty (repubblicano, oggi a caccia di una candidatura per la Casa Bianca) ha chiuso la carriera lasciando un buco di 5 miliardi di dollari, il suo successore Mark Dayton (democratico) ha dovuto affrontare un parlamento in mano ai repubblicani e la questione del bilancio si è incancrenita tra un «obamiano» che cerca di non tagliare le spese sociali e una feroce destra «teapartista», che boccia sistematicamente ogni ipotesi di ritocco del deficit o delle tasse, anche quelli «proposti per il 2% più ricco della popolazione – accusa Dayton – e persino quelli per lo 0,3% più ricco della popolazione».
Davanti al muro antitasse, ieri il governatore ha firmato e girato ai giornali una lettera ai leader repubbicani, in cui accetta obtorto collo due loro proposte: ritardare i pagamenti alle scuole ma soprattutto emettere «tobacco bonds». Nel 1998 il Minnesota vinse una causa contro le multinazionali del tabacco: le sigarette aggravavano il bilancio pubblico della sanità . I tabaccai vennero condannati a pagare 320 milioni di dollari, che dovrebbero entrare nelle casse del Minnesota nell’anno fiscale 2012-2013. Ebbene, l’idea è di emettere bond (cioè chiedere prestiti) garantiti dai soldi dei tabaccai: meglio pochi maledetti e subito che tanti tra un anno o due. Altro che finanza creativa.
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