Malpensa non decolla, battaglia sulla terza pista

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MILANO – Decolla nella bufera il sogno della terza pista a Malpensa. I 2.400 metri d’asfalto più “caldi” di Lombardia sono per ora solo un disegno su una mappa topografica, parcheggiato al Ministero dell’Ambiente per l’ok alla valutazione di impatto ambientale. Ma il fronte del no al progetto («partirà  solo se e quando ci saranno le condizioni per giustificarlo» mettono le mani avanti alla Sea) si sta rivelando ben più ampio e agguerrito del previsto. Ci sono gli ambientalisti, in trincea per proteggere 400 ettari di bosco nel Parco del Ticino, Succiacapre e Averla minore; molti sindaci – uno schieramento che va da Pdl e Lega fino al Pd – in difesa di un territorio che all’espansione (e poi alla crisi) dello scalo ha già  pagato un pedaggio salatissimo. E ora persino le compagnie aeree convinte che l’opera da 300 milioni sia – per dirla con il direttore generale di Assaereo Aldo Francesco Bevilacqua – «di dubbia utilità ».

IL NODO DELLA DOMANDA
È il quesito di tutti, come confermano le migliaia di pagine di obiezioni piovute sul tavolo di Stefania Prestigiacomo. Perché fare una nuova pista a Malpensa quando le due attuali sono sotto utilizzate e l’aeroporto, orfano di Alitalia, è una cattedrale nel deserto? La risposta della Sea, la società  di gestione, è semplice: «Nel 2025 nell’aeroporto transiteranno 42,4 milioni di passeggeri contro i 18,9 di oggi». Lo confermano i dati della Bocconi – dicono – assieme alle stime di Iata, Airbus e Boeing. È vero? La storia, sostiene il fronte del no, dice il contrario: Malpensa aveva 23,8 milioni di passeggeri nel 2007, il 23% in più del 2010 e dopo l’uscita di scena di Alitalia e Lufthansa Italia il sogno di un hub a Milano è svanito. Qualche dubbio, come testimonia il verbale di una riunione all’Enac, ce l’ha persino Easyjet, la compagnia leader a Malpensa: «La Iata ha rivisto al ribasso le sue stime – ha detto Enzo Zangrilli, numero uno in Italia del vettore – e per questo va ripensata l’opportunità  della terza pista».

IL REBUS DELL’OFFERTA
Quanti aerei possono atterrare nell’aeroporto bustocco? Perché Heathrow con due piste muove 60 milioni di passeggeri l’anno (il triplo di Milano), Monaco 34 e Londra Gatwick con una e mezza ne gestisce 31,3? Malpensa è nata male, spiega Sea. Le due piste sono troppo vicine (808 metri) e non si possono gestire atterraggi paralleli come a Londra e in Baviera. Allontanarle è impossibile. Ergo, quando il traffico crescerà  sarà  necessaria la terza pista. «Storie – dice Bevilacqua a nome delle compagnie iscritte a Confindustria – . Le strutture attuali bastano per gestire i volumi in aumento previsti. Servono solo pochi miglioramenti tecnologici e procedure più efficienti».
«I numeri sono chiari», dicono i sette sindaci dell’area che si sono messi di traverso alla “Grande Malpensa”: l’aeroporto ha un limite normativo di 70 movimenti (decolli e atterraggi) l’ora, pari a 840 al giorno e 300mila l’anno. Ma in realtà  non riesce a farne più di 55-60 («per problemi d’inquinamento acustico», dicono in Sea). Nel 2007, l’anno dei record, è arrivata a gestirne oltre 800 al dì mentre nel 2011 la media è poco sopra i 512. Come dire che c’è spazio per aumentare del 56% la capacità  senza gettare nuovo asfalto.
Non solo: su ogni volo che atterra nello scalo bustocco ci sono in media 120 passeggeri contro i 170 di Parigi e i 180 di Londra. Certo, non si può costringere le compagnie a far volare mega-jet su uno scalo “regionale”. Ma la matematica, calcola il Consorzio del Parco del Ticino, non è un’opinione: 300mila movimenti possibili l’anno per 120 passeggeri l’uno significano una capienza di 36 milioni, quasi il doppio di oggi. E se si riuscisse a salire a 150 «Milano potrebbe gestirne 45 milioni» senza interventi strutturali.

L’INCOGNITA AMBIENTALE
La terza pista andrà  a cancellare un pezzo di brughiera e un insediamento abitativo in zona Tornavento. Ma la valutazione di impatto ambientale – dice la Sea – serve proprio per stabilire le compensazioni. Ai 500 cittadini che dovranno traslocare e al bosco da ripiantare. Ma l’operazione, per gli ambientalisti, non è indolore. «La perdita dell’esempio più esteso di brughiera italiana non è risarcibile», dicono, perché non si può riprodurlo in nessun’altra zona della Regione.
Qualcuno timidamente suggerisce di ripensare la gestione di tutti gli aeroporti del Nord. In fondo il governo Cameron ha appena bloccato la costruzione di nuove piste a Londra (dove gli scali sono saturi) per redistribuire i voli sulle altre infrastrutture inglesi, potenziando i collegamenti ad alta velocità . Milano è a due passi da Linate, Bergamo, Brescia, Parma, Verona e Torino. Ma la pianificazione è un’arte sconosciuta in Italia dove ogni aeroporto è un campanile.
La partita comunque è aperta. La valutazione d’impatto ambientale è solo il primo passo. Alla prova dei fatti i difensori del brugo, l’erica lombarda che dovrà  lasciar spazio alle ruote degli aerei, si sono rivelati una pattuglia meno brancaleonesca delle attese. E la strada della terza pista dell’aeroporto milanese, oltre che lunga 2.400 metri, pare più in salita del previsto.


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Senza nucleare e senza petrolio

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Il titolo è interrogativo: è una domanda. Ma la grafica non vuole punti interrogativi nel titolo. Ce li deve mettere il lettore. Non so se resteremo senza nucleare e anche senza petrolio. Me lo chiedo. La catastrofe dell’impianto nucleare in Giappone bloccherà  o altrimenti rinvierà  di parecchio la costruzione di nuove centrali atomiche.

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