Mafia, chiesto il processo per il ministro Romano «Sostegno ai clan»

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PALERMO — Meno di una settimana fa il gip aveva rigettato la richiesta di archiviazione sollecitando «l’imputazione coatta» . E ieri la Procura ha chiesto che il ministro per l’Agricoltura Saverio Romano venga processato. Un atto dovuto che aggrava la posizione del leader del Pid (Popolari di Italia domani) da ieri formalmente imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Tanto che fioccano le richieste di dimissioni. «Dimettermi?» , replica. «Non ne vedo le ragioni» . E si dice «vittima di una ritorsione politica per aver salvato, col mio voto il 14 dicembre, il governo e la maggioranza» .
Ora sarà  un gip diverso da quello che ha respinto la richiesta di archiviazione a valutare se le accuse sono tali da mandare a processo il ministro. A meno che i legali non chiedano il giudizio abbreviato in modo da cristallizzare tutto allo stato degli atti. In ogni caso sempre di un processo si tratta e Romano dovrà  difendersi da accuse gravi sintetizzate dal sostituto Nino Di Matteo e dall’aggiunto Ignazio De Francisci nelle due pagine della richiesta di rinvio a giudizio. «Nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi di Ccd e Cdu e, dopo il 2001, di parlamentare nazionale — scrivono — avrebbe consapevolmente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell’associazione mafiosa, intrattenendo, anche al fine dell’acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell’organizzazione tra i quali Siino, Guttadauro, Miceli, Mandalà  e Campanella» .
 Il ministro è poi accusato di aver sponsorizzato, su sollecitazione del boss di Brancaccio Guttadauro, la candidatura alle regionali del 2001 di Mimmo Miceli poi condannato per mafia. E assieme all’ex governatore Cuffaro avrebbe inserito in lista Giuseppe Acanto, sempre alle regionali 2001, «nella consapevolezza di esaudire desideri del boss Mandalà  e della famiglia mafiosa di Villabate» . Pur ricostruendo la reti di rapporti e contiguità  con esponenti di spicco di Cosa Nostra, i pm ritenevano che non ci fossero gli estremi per giungere ad una condanna. E questo anche alla luce delle sentenze della Cassazione che rendono molto stringente il rapporto di scambio che deve sussistere per poter contestare il concorso in associazione mafiosa. Da qui la richiesta di archiviazione che aveva illuso Romano di esserne ormai venuto fuori. Anche se sul suo capo pende un’altra indagine per concorso in corruzione aggravato dall’aver favorito la mafia, con l’accusa di aver intascato tangenti per favorire la vendita di una società  di Ciancimino.
La difesa di Romano è tutta in chiave politica. Tiene a sottolineare che la Procura è stata «obbligata a procedere dopo 8 anni e due richieste di archiviazione» ravvisando un «cortocircuito giudiziario che riguarda chi da un lato ha condotto le indagini e chi dall’altro le ha severamente sanzionate» . Ma ieri pomeriggio sono arrivate le richieste di dimissioni di vari esponenti dell’opposizione e indirettamente anche dal presidente della Camera Fini per «motivi di opportunità  e non di leggi» .
A quel punto il ministro ha convocato una conferenza stampa replicando al presidente della Camera. «A quei soloni che si ergono a difensori della morale e che invece hanno favorito i propri familiari attraverso vendite improprie vorrei dire che l’opposizione ha tutto il diritto di chiedere le dimissioni. Altri, svolgendo ruoli di terzietà , non hanno diritto di intervenire su una vicenda squisitamente politica. Io resto al governo a testa alta» .


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