Macelleria sociale

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La distribuzione dei “sacrifici” è rivelatrice. Uno stillicidio di balzelli che incide su chi può essere più facilmente colpito, che lima i già  ristretti margini dei bilanci familiari. Si è calcolato il peso che avranno gli aumenti di imposte, tariffe, prezzi. Peso insostenibile per taluni, quasi non influente per altri. L’effetto complessivo della manovra peserà  per il 13,3% sui redditi bassi e per il 5% su quelli più alti. La rappresentazione della spinta istituzionale verso la diseguaglianza non potrebbe essere più netta.
è così tornata, in ambienti insospettabili, la vecchia espressione “macelleria sociale”. Ma è una macelleria ben selettiva, vista la cura con la quale si è voluto tenere lontano da alcuni ceti anche un contributo poco più che simbolico al risanamento dei conti pubblici. Rivelatrice è la cinica dichiarazione di un ministro della Repubblica che, di fronte alla proposta di un significativo aumento della tassa per le automobili di maggiore cilindrata, ha esclamato: «Ma quelli votano per noi!». Il suo grido di dolore è stato prontamente raccolto, e la platea dei colpiti da quella misura è stata drasticamente ridotta. Mentre troppi diritti vengono messi in discussione, sembra che il solo al quale si deve continuare a dare piena legittimazione sia quel “diritto al lusso”, che fa bella mostra di sé nella pubblicità  di alcuni prodotti. Demagogia? O registrazione di una situazione di fatto nella quale si manifestano segni inquietanti di un ritorno della “democrazia censitaria”, dove l’accesso anche a diritti fondamentali è sempre più condizionato dalle risorse di cui ciascuno dispone?
Il caso che illustra più direttamente lo stato delle cose è quello dei ticket sanitari, che rivela una doppia diseguaglianza. La prima nasce dal fatto che il ticket di 10 euro per le prestazioni specialistiche, sommato all’eliminazione della franchigia di 36,15 euro, colpisce pesantemente i redditi più bassi, riguarda impiegati, lavoratori, cassintegrati e, malgrado alcune esenzioni, introduce un pesante filtro selettivo che, ovviamente, produce discriminazione. La seconda diseguaglianza nasce dall’appartenenza regionale. Alcune regioni hanno già  deciso di non applicare il ticket, scelta possibile solo nelle regioni più ricche. Si dirà  che questo è l’effetto della cattiva amministrazione in materia sanitaria di molte regioni. Ma tutto questo produce una distorsione gravissima. Si trasforma l’accesso al diritto alla salute, il “più fondamentale” tra i diritti fondamentali, in una variabile che lo subordina al reddito e all’appartenenza regionale. A una prova così impegnativa, il federalismo “all’italiana” conferma una delle più serie critiche che erano state avanzate, la costruzione di un paese a velocità  variabili in materia di diritti, dunque proprio sul terreno dove l’eguaglianza deve essere massima.
Questa progressiva cacciata dei più deboli dall’area dei diritti non consente la considerazione, consolatoria, che così sempre accade per i provvedimenti generali, che hanno effetti diversi a seconda del reddito delle persone. L’ultima manovra, infatti, avviene in una fase in cui la tutela dei diritti è stata già  pesantemente ridotta dalla crisi economica, come mostra uno studio dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali del dicembre 2010. Il congiungersi di questi diversi fattori sta creando una situazione in cui si mette in discussione “il diritto all’esistenza”, e si ricacciano le persone in una condizione che le obbliga alla quotidiana ricerca di una precaria sopravvivenza. Non più “l’esistenza libera e dignitosa”, di cui parla l’articolo 36 della Costituzione, ma una esistenza subordinata a una contribuzione diseguale imposta dallo Stato, alle pretese di imprese che svuotano il lavoro di umanità  e diritti.
I nostri, infatti, sono i tempi della vita precaria, della sopravvivenza difficile, del lavoro introvabile, delle rinnovate forme di esclusione legate alla condizione d’immigrato, all’etnia. In questo clima, dove massimo dovrebbe essere lo sforzo per produrre quella coesione sociale di cui tanto si parla, si moltiplicano invece i meccanismi di esclusione e di divisione. Poveri e diseguali: questo il nostro destino? La pura logica dei tagli offusca la capacità  di progettare, di riflettere ad esempio sulla possibilità  di riordinare l’intera materia dei sostegni legati alla disoccupazione per trasformarle in un reddito di base di cittadinanza, come sta accadendo in diversi paesi, mettendo al centro dell’attenzione proprio il diritto all’esistenza come diritto fondamentale della persona (lo ha fatto la Corte costituzionale tedesca).
Tornare a prendere in considerazione l’eguaglianza, la dignità , i diritti fondamentali. Non è un lusso, è la via della saggezza politica in un tempo in cui, altrimenti, i conflitti sociali si trasformano in rifiuto, rivolta. È quel che sta accadendo con la denuncia quotidiana della inaccettabilità  dei privilegi di ceti, non solo quello politico, che hanno sempre più legato il loro modo d’essere a una vantaggiosa diseguaglianza. La costruzione oligarchica della società  ha trovato la sua base materiale in retribuzioni sproporzionate, in franchigie per concludere qualsiasi affare, in vertiginose crescite della distanza tra i salari dei dipendenti e quelli dei dirigenti (nel caso Fiat è di 1 a 423: non è demagogia, ma informazione, ricordarlo). La questione è al centro delle discussioni di questi giorni, e la ricordo perché, muovendosi con inconsapevolezza, si può dare origine ad un’altra diseguaglianza. Penso, in particolare, a quel particolare costo della politica rappresentato dal finanziamento dei partiti. Innumerevoli vergogne lo hanno accompagnato in questi anni. Ma si torna sulla via maestra cancellandolo? John Rawls, tra i tanti, sottolinea come le risorse pubbliche siano indispensabili per evitare che la politica diventi prigioniera degli interessi privati. Riformiamo profondamente questo strumento, ma evitiamo che l’accesso alla politica sia riservato agli abbienti, per non ricadere nella radicale diseguaglianza della “cittadinanza censitaria”.


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