by Sergio Segio | 21 Luglio 2011 7:30
ROMA – Il voto su Alberto Tedesco al Senato suona come la conferma che la grana giustizia è destinata a investire anche il Pd. Che sulla questione morale ci sarà da discutere, che la divisione tra giustizialisti e garantisti va risolta. Il gruppo Pd di Palazzo Madama si interroga, soffre, decide infine di dire di sì all’arresto. Viene tradito dalle divisioni della Lega ma anche da una pattuglia ridotta dei suoi senatori. Pronti a rivendicare con orgoglio il loro dissenso. «Io capisco che tira una certa aria, che si deve essere rigorosi e difendere i principi di legalità . Ma è anche giusto che un parlamentare si assuma delle responsabilità . E se la pensa in un certo modo vota in un certo modo», spiega il senatore Lucio D’Ubaldo annunciando con grande serenità di aver respinto la richiesta di arresto di Tedesco. Il Pd, secondo lui e secondo i senatori che avrebbero votato come lui, si sta facendo trascinare nel gorgo del giustizialismo, rinuncia al ruolo della politica, asseconda la valanga giudiziaria che sta per arrivare.
È una posizione che non manca di adepti democratici. Il voto di Palazzo Madama ne è una plastica dimostrazione. Franco Marini vuole rispettare la giustizia ma non chinare la testa. Così come Marco Follini, così come tanti altri. Poi c’è un’ala che invece chiede più legalità , più attenzione nei comportamenti. Rosy Bindi ieri ha subito invocato le dimissioni di Tedesco dal Parlamento. Un modo per adempiere ai voleri del tribunale di Bari nonostante il voto dell’aula. In questo scenario è arrivata come una slavina la notizia dell’inchiesta di Monza su un dirigente democratico di grande rilevanza. «Nel Pd Penati conta. E molto», dice un importante dirigente democratico. Non è Pronzato, il consigliere di amministrazione Enac. Non è Morichini, il broker assicurativo amico di D’Alema. Filippo Penati è un pezzo da 90 del Partito democratico. Vicinissimo a Pier Luigi Bersani, animatore della sua campagna per le primarie del 2009, capo della segreteria politica del leader. L’inchiesta che lo coinvolge per un giro di tangenti colpisce quindi al cuore il partito. E riapre con forza la questione morale della più grande forza del centrosinistra.
Per Bersani è davvero una botta. «Mi dispiace», dice quando arriva la notizia. Poi detta la sua dichiarazione prudente ma innocentista: «La magistratura faccia il suo mestiere per accertare questa vicenda. Credo che alla fine sarà in condizione di verificare che sono cose senza fondamento». Però il problema esiste. Questo lo dicono tutti. Chi lo guarda da una parte e chi dall’altra. «Prima Morichini e Catiuscia Marini ora Penati. Vogliono colpire una certa area del Pd», dice un altro anonimo dirigente. Cioè, l’area che regge le sorti del partito: D’Alema e Bersani, l’asse di riferimento della maggioranza. Giustizia a orologeria? Non lo dice nessuno ma qualcuno lo pensa. «Sono cose vecchie di 10 anni…», si lascia sfuggire il segretario. Come a dire: perché vengono fuori adesso? Bersani e D’Alema è anche quella parte del centrosinistra che fu più investita dal ciclone Bnl-Unipol. Più di Fassino, più di altri. Il presidente del Copasir e il segretario erano favorevoli a quella scalata e non apprezzarono il fuoco amico. Che venne da molti. Arturo Parisi per esempio parlò esplicitamente di «questione morale» richiamando le parole di Berlinguer. Parole che contribuirono a far saltare il banco.
Detto questo, Bersani non rinnega la sua vicinanza alla sinistra degli amministratori locali. Li considera una vera forza vitale del partito. Anche lui viene da lì. Chi amministra ha esperienza, moderazione, sensibilità . Come amministratore Penati piace molto a Bersani. Dopo la sconfitta alle Provinciali di Milano, Penati viene subito ricompensato dal futuro segretario con la promozione a suo braccio destro nelle primarie. Oggi il dirigente indagato è il vero leader del Pd in Lombardia. Vicepresidente dell’assemblea regionale, plenipotenziario di Bersani per tutte le scelte padane. Gli chiederanno un passo indietro in regione? Per il momento sembra proprio di no. Ma i casi Penati e Tedesco, pur così diversi, sono destinati a segnare l’estate democrat.
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