Ma la destra non molla la corsa alla Casa Bianca passa anche per il default

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NEW YORK – «Entro lunedì mattina dovete spiegarmi come eviteremo il default». Barack Obama ha convocato i quattro leader democratici e repubblicani del Congresso per lanciargli questo ultimatum. Non è il 2 agosto, è tra poche ore che l’America affronta un durissimo test sui mercati, un esame che sarebbe stato impensabile ancora poco tempo fa per la più ricca economia mondiale.
Il declassamento del suo debito sovrano incombe, le agenzie di rating dovranno togliere la “tripla A” ai titoli del Tesoro Usa se non si sblocca la situazione all’inizio di questa settimana. Lunedì mattina, spiegano il Tesoro e la banca centrale, è l’ultima data utile tecnicamente, se si vuole evitare che il 2 agosto si arresti tutta la macchina federale dei pagamenti: stipendi pubblici, pensioni, e soprattutto cedole degli interessi sui Treasury Bond. Più ancora del destino dei pensionati che rischiano di non ricevere il loro assegno mensile, è il trattamento dei creditori quello che può scatenare lo shock globale sui mercati.
Il Tesoro degli Stati Uniti ha ormai raggiunto il limite massimo del debito che gli è consentito: 14.290 miliardi di dollari. Per una regola in vigore dal 1917, occorre una nuova legge del Congresso che fissi un limite superiore. Altrimenti Washington non può emettere nuovi titoli da collocare sul mercato. E senza la vendita di nuovi titoli è impossibile ripagare quelli vecchi che vengono a scadenza, o gli interessi maturati dai creditori cinesi, indiani, russi, sauditi. Lo spettro della bancarotta tecnica degli Stati Uniti è angosciante: se la minuscola Grecia è riuscita a provocare tante convulsioni sui mercati mondiali, figurarsi cosa può fare il default americano. Tra i due c’è una differenza non solo di taglia ma nella natura della crisi. Rispetto al debito greco, quello americano non è insostenibile: per quanto elevato, l’economia reale degli Stati Uniti è in grado di ripagarlo e di onorare gli interessi. Ma c’è una parte della classe politica di Washington, sostenuta da interessi potenti e da un elettorato ideologizzato, che non vuole più farsi carico di quel debito. Questo tipo di crisi è potenzialmente perfino più distruttivo.
Nel caso di Atene si tratta di salvare con aiuti esterni un malato che non ce la fa da solo. Gli Stati Uniti sono un malato che ha deciso di non curarsi e di sabotare il medico. Questo è lo scontro tra Obama e la destra repubblicana. Il presidente della Camera John Boehner, il repubblicano che ricopre la più importante carica istituzionale, ha messo la Casa Bianca di fronte a questo ricatto: «Che sia Obama a prendersi la responsabilità  di alzare il debito pubblico da solo, con una proroga di pochi mesi (un atto forse incostituzionale, ndr). Se invece vuole i nostri voti, i tagli di spesa devono essere il doppio rispetto all’innalzamento della soglia di debito».
Tutta la manovra deve avvenire sacrificando spese sociali, esigono i repubblicani. Non un centesimo di tasse in più: almeno 70 deputati repubblicani hanno fatto questo “giuramento” nelle adunate del Tea Party. E’ uno scontro “di classe”, sulla ripartizione degli oneri del rigore: la destra li vuole tutti a carico delle classi lavoratrici. L’America è il paradiso fiscale dei ricchi, dove gli hedge fund pagano solo il 15% sugli utili contro il 35% per chi ha uno stipendio medio. A difendere questi privilegi però scendono in campo anche pezzi di ceti medio-bassi, acquisiti all’egemonia culturale del neoliberismo. La prova: ieri un sondaggio tv della Fox News ha posto la domanda “se foste parlamentari alzereste il tetto del debito?” e il 60% degli spettatori ha risposto un secco no. La spesa pubblica è il male assoluto, lo Stato sociale è l’Anticristo.
Obama ha provato a mettersi in gioco personalmente, in tanti modi: offrendo tagli di spese molto sostanziali; usando se stesso come “esempio” di uno stipendio elevato che può contribuire di più alle entrate fiscali. Ma la destra vuole lasciarlo solo davanti al giudizio dei mercati, solo a difendere la diga del debito contro un’Apocalisse che colpirebbe ben oltre l’America. Intanto in 28 Stati Usa su 50 la disoccupazione risale implacabile. E’ l’altra faccia di questa crisi, quella che il Nobel Paul Krugman ha battezzato Lesser Depression (la Depressione Minore, per distinguerla dalla Grande degli anni Trenta): l’ossessione per i tagli al deficit fa sì che la politica economica sia diventata iper-restrittiva, contribuisce a deprimere la crescita. E se per effetto di un downgrading i tassi dovessero crescere anche solo di mezzo punto, se ne andrebbero altri 600.000 posti di lavoro. Proprio quello che vuole la destra: lo scenario ideale per sconfiggere Obama nel 2012 e riprendersi la Casa Bianca.


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