L’ultima partita per Edison, corsa per evitare l’asta di Edf

by Sergio Segio | 17 Luglio 2011 7:50

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MILANO — Dieci anni sono trascorsi e si è sempre lì, a discutere del destino di Edison. Nel luglio del 2001 i francesi di Edf, paralizzati dal decreto che li bloccava al 2%del capitale, si erano ritagliati una posizione minoritaria nella holding Italenergia, in attesa di tempi migliori. Ora, un decennio dopo, il pendolo della storia (industriale e finanziaria) di Foro Buonaparte è dalla loro parte.
La scadenza dei patti, il 15 settembre, si avvicina inesorabile e se non si troverà  un accordo con i soci italiani guidati da A2A scatterà  l’asta, una procedura sulla quale Edf potrà  far valere tutto il suo peso finanziario. Se dovessero prevalere, per Delmi (la «scatola» dove si trovano gli italiani) potrebbe essere un mezzo disastro. A2A, Iren, Dolomiti Energia, Sel, Mediobanca, Cassa risparmio di Torino e Bpm rischierebbero di essere liquidati e di dover incassare una forte minusvalenza. Transalpina di Energia (Tde), la società  al 50%con i francesi, ha il pacchetto Edison (61%) in carico per 4,76 miliardi quando in Borsa vale 2 miliardi di meno.
Fino a ieri ai francesi, al di là  delle minacce del loro capo Henri Proglio («à  la guerre comme à  la guerre» , aveva detto dopo l’incontro-scontro con il ministro Tremonti qualche mese fa), non conveniva sistemarsi a Foro Buonaparte in splendida solitudine. E nell’accordo concluso con reciproca soddisfazione la scorsa primavera si prevedeva, non a caso, la permanenza nell’azionariato per qualche anno di A2A, con un’opzione di vendita a termine.
Ora la situazione si è un po’ ingarbugliata, perché Delmi intende alzare il prezzo della sua uscita, facendo leva sulle mutate prospettive del mercato: se per il gas si prospetta una «golden age» , come sostiene l’Agenzia internazionale dell’energia, e i prezzi dell’elettricità  sono destinati a risalire, allora anche la valutazione di Edison deve aumentare, si sostiene. Non è dato sapere, però, quanto questa tesi sia condivisa dalla controparte francese. Un passaggio importante sarà  il consiglio di gestione convocato per domani nel quale si potrebbe arrivare la mandato per definire la trattativa. Il punto di partenza resta l’accordo dello scorso marzo. Che prevedeva la scissione di Tde in due: una «Tde1» francese e una «Tde2» italiana.
Alla prima Edf avrebbe conferito il suo 19,3%salendo così oltre il 50%. Ancora da sciogliere, peraltro, sarebbe il nodo di un’eventuale Opa sulle minoranze, e su chi dovrebbe farsene carico. Ma il nocciolo dell’accordo era industriale. Per risolvere il nodo del conflitto di interessi A2A-Edison (che ha fatto infuriare l’ex municipalizzata negli ultimi anni) prevedeva una joint-venture nella vendita di elettricità . Soprattutto, però, contemplava un’ampia spartizione di assets, a partire da quelli della controllata Edipower. Ad A2A sarebbero così andati i due gioiellini idroelettrici di Mese (Sondrio) e Udine; a Iren e Alpiq (altri soci Edipower) una centrale ciascuno a ciclo combinato a gas. Il resto (quattro centrali) sarebbe passato a Edison, tranne l’impianto siciliano di San Filippo del Mela, che brucia olio combustibile ma è in via di riconversione. Ognuno dei partecipanti al breakup, poi, si sarebbe assunto il propria pro-quota di debito complessivo.
A2A, infine, avrebbe anche ceduto due altre sue centrali ad Edf, quella abruzzese di Gissi e quella in Calabria di Scandale, entrambe ex Asm, che i francesi avrebbero a loro volta girato a Edison, incrementando ulteriormente la loro quota azionaria. Un progetto a suo modo coerente, se non fosse che qualche socio minore, come ad esempio l’Iren guidata da Roberto Bazzano, si è messo di traverso. Di qui le contro richieste a Edf sulle rivalutazioni degli asset, sulla governance (una presidenza italiana con poteri) e sull’uscita garantita da contratti «put» . Tutte condizioni che tuttavia devono essere ancora verificate dalle parti. Per Edf, ad esempio, sarebbe ancora accettabile la presenza per un lungo periodo di un socio di minoranza dotato di poteri effettivi di governance? E con quali armi la controparte italiana può costringere Edf a un nuovo negoziato?
Bruno Tabacci, oggi assessore al bilancio a Milano, dieci anni fa era a capo della Commissione attività  produttive, e segnalava il pericolo della «calata» del monopolista transalpino. In questi giorni ha sentito tutte le parti in causa e ha incassato, sostiene, la volontà  di Tremonti di farsi «perno» della situazione, anche se tra manovra e «attacco» all’Italia il ministro ha avuto altro a cui pensare. I comuni di Milano e Brescia, dice ancora Tabacci, devono decidere che genere di A2A vogliono in futuro. Però il tempo stringe, e la Edison (l’oggetto del desiderio) senza la possibilità  di dare corpo prima del prossimo settembre a una strategia e a un piano industriale coerenti si indebolisce ogni giorno di più.

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