«Tangenti nell’ex Stalingrado» Indagato anche il sindaco del Pd

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MILANO — Sono una bomba a grappolo le dichiarazioni agli inquirenti di Giuseppe Pasini, l’ 82enne costruttore ex proprietario dell’area Falck a Sesto San Giovanni e già  candidato del centrodestra alle comunali del 2007: se il più direttamente colpito è l’ex sindaco e attuale vicepresidente (autosospeso) del consiglio regionale della Lombardia, Filippo Penati, indagato per le ipotesi di concussione, corruzione e finanziamento illecito, alcune schegge raggiungono ora anche l’attuale sindaco di Sesto San Giovanni (l’ex Stalingrado d’Italia), compagno di Penati nel Pd ma notoriamente non proprio in sintonia con l’ex presidente della Provincia di Milano ed ex capo (fino a 8 mesi fa) della segreteria politica di Bersani.
A essere indagato per l’ipotesi di concussione nell’inchiesta della Procura di Monza, infatti, è anche Giorgio Oldrini, dopo Penati dal maggio 2002 sindaco come già  suo padre Abramo dal 1946 al 1962, e riconfermato nel 2007 (proprio dal voto in cui sconfisse la lista civica di Pasini alleata con Forza Italia e Alleanza nazionale) alla guida della giunta di centrosinistra che l’altro giorno ha già  registrato le dimissioni dell’indagato assessore comunale alle risorse finanziarie ed edilizia privata Pasqualino Di Leva.
Soldi sul Palaghiaccio
Gli accertamenti su Oldrini vertono su una vicenda che al momento appare più indiretta rispetto alle accuse a Penati, ma sono imposti dal tipo di dichiarazioni di Pasini a proposito del suo impegno economico nella ristrutturazione del «Palasesto» : cioè nella trasformazione a partire dal 1999 del vecchio palazzetto dello sport (basket e pallavolo) nell’attuale palazzo del ghiaccio, due piste per l’hockey e il pattinaggio ma con possibilità  di copertura con uno speciale pavimento da mettere e togliere in poche ore per ospitare manifestazioni culturali, convegni, spettacoli musicali o altri sport come arti marziali, ginnastica, calcetto. Poiché nel 1999 all’amministrazione comunale di Penati appariva troppo costoso gestire una struttura da 4 mila posti, la soluzione individuata fu una convenzione con l’Hockey club pluriscudettato «Diavoli rossoneri» di Milano (in cerca di un impianto adeguato per i suoi giovani atleti), che a proprie spese avrebbe acceso un mutuo con il Credito sportivo per trasformare il Palasesto (con lavori fatti da Pasini) e tenerlo poi in affitto per nove anni.
Mutuo garantito però da una fideiussione prestata proprio da Pasini, il quale, sotto pressione di questa esposizione, ora racconta agli inquirenti di aver dovuto far fronte ad alcune rate del mutuo perché a ciò indotto (a suo dire) anche dal sindaco Oldrini. E in questa operazione sostiene di aver dovuto tirare fuori di tasca propria quasi 3 milioni di euro. 16 miliardi di lire I soldi attorno al Palaghiaccio, pari a 6 miliardi di lire, nella contabilità  di Pasini alla Guardi di finanza di Milano e ai pm Walter Mapelli e Franca Macchia, si sommano dunque ai 4 miliardi di tangenti che il costruttore dice d’aver destinato a Penati (che, stando al suo racconto, gliene aveva chiesti 20 per l’ok ai progetti urbanistici sull’area Falck) attraverso due consegne in contanti agli indicati fiduciari Piero Di Caterina e Giordano Vimercati; alla permuta tra due terreni per «mascherare» 1 miliardo e 250 milioni a Di Caterina; e ai soldi (quattro fatture non da 600 milioni di lire l’una ma da 600.000 euro l’una, quindi in tutto 2 milioni e 400.000 euro ovvero 4 miliardi e 800 milioni di lire) che Pasini afferma di aver dovuto pagare in consulenze «obbligatoriamente» affidate a due professionisti (ora indagati per concussione) vicini alle coop rosse emiliane, indicatigli come da coinvolgere per forza nei lavori. Il Pd: «Regolari i bilanci».
 In più ci sono i finanziamenti che Di Caterina, imprenditore del trasporto pubblico in provincia di Milano, ha dichiarato di aver fatto al partito di Penati da metà  dei ’ 90 all’inizio del successivo decennio, in alcuni periodi anche per 100 milioni di lire al mese. Ricostruzione che il partito respinge: «Mai preso finanziamenti illeciti — afferma il tesoriere Antonio Misiani —. I nostri bilanci sono pubblici e certificati da una società  indipendente» , e «di fronte a informazioni di stampa ambigue e fuorvianti abbiamo deciso di dare mandato ai nostri legali per tutelare il buon nome del Partito democratico» .


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