by Sergio Segio | 28 Luglio 2011 5:59
All’inizio della stagione più calda dell’anno, e perciò anche più critica per i consumi di elettricità , il paradosso energetico italiano rivela una trama di interessi e di grandi affari che potrebbe ispirare un film di James Bond in lotta contro la Spectre, sullo sfondo di un traffico intercontinentale di petrolio, gas e uranio.
Tanto più che, come attestano diverse analisi di enti o istituti internazionali, entro qualche decennio il mondo – e quindi anche il Belpaese – potrebbe essere alimentato soltanto da fonti rinnovabili: cioè sole, vento, biomasse e quant’altro.
Dietro la cortina fumogena del terrorismo mediatico che imperversa dopo il referendum e lo stop al nucleare, la verità è racchiusa in poche cifre. Secondo gli ultimi dati ufficiali diffusi da Terna, la società che è il principale proprietario della rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica, gli impianti installati in Italia hanno una capacità di produzione potenziale di oltre 106 gigawatt (l’unità di misura pari a un miliardo di watt): contro una richiesta che ha toccato il picco storico di 56,8 GW nell’estate 2007 e una potenza media disponibile stimata in 67 GW. Per di più, negli ultimi due anni, la crisi economica ha ridotto ulteriormente la domanda (51,8 GW nel 2009).
In altre parole, come sostengono gli esperti del Wwf, la potenza di cui disponiamo corrisponde al doppio di quella che occorre. E perciò, dice Gaetano Benedetto, direttore delle Politiche ambientali dell’associazione, «non abbiamo bisogno di nuova energia, ma di un’energia diversa, capace di diminuire la nostra dipendenza dalle risorse fossili e di inquinare di meno».
La maggior parte di questa energia (intorno all’86%) è “made in Italy”. Per il resto, pur disponendo di impianti in grado di soddisfare l’intera richiesta, la importiamo dall’estero per un motivo di convenienza economica: l’acquisto del surplus non utilizzato che viene prodotto soprattutto in Francia, ma non solo, attraverso le centrali nucleari. I reattori, infatti, non possono essere mai spenti e perciò di notte, quando i consumi sono al minimo, l’energia viene fornita e “svenduta” sotto costo.
Al momento, la nostra produzione deriva dalle centrali termoelettriche per circa la metà ed è garantita dal gas naturale. Ma intanto la quota di carbone (11,9%) cresce in misura preoccupante sia per le emissioni nocive sia per le conseguenze sui cambiamenti climatici. Sta di fatto che ormai in campo energetico abbiamo sostituito la nostra dipendenza dal petrolio con quella dal gas: su circa 80 miliardi di metri cubi utilizzati all’anno, solo un decimo viene prodotto in Italia, oltre il 50% è importato dalla Russia dell'”amico Putin” (23 miliardi) e dall’Algeria (22 miliardi).
Se tutto ciò servisse a fare dell’Italia un hub nella distribuzione del gas, cioè un terminale nel bacino del Mediterraneo, potrebbe anche avere un senso. Ma è evidente che – per interesse o convenienza – molti hanno cavalcato una presunta crisi energetica per favorire la realizzazione di servizi e strutture con una finalità ben diversa dall’approvvigionamento nazionale.
In linea con un trend mondiale e con le stesse direttive dell’Unione europea che entro il 2020 intende ridurre del 20% le emissioni di gas serra, abbassare del 20% i consumi energetici e raggiungere il 20% di produzione da fonti rinnovabili, l’alternativa è proprio lo sviluppo dell’energia verde, naturale, pulita. Finora, però, in Italia questa s’è aggiunta all’energia fossile e non l’ha effettivamente sostituita, fino a rappresentare una quota complessiva di circa 30 GW con un mix di potenza idrica (17,8 gigawatt), termica a biocombustibili (2,4), geotermica (0,7), eolica (5,8) e fotovoltaica (2,9).
«È chiaro – riconosce lo stesso Benedetto – che, in una fase di transizione, per noi il gas resta essenziale». Ma, per arrivare in prospettiva al 100% di energia rinnovabile, occorre avviare subito una svolta radicale, a cominciare dalla riduzione dei consumi inutili e da una maggiore efficienza. In questa ottica, le fonti alternative diventano perciò il perno di un nuovo modello di sviluppo.
È perciò che il Wwf ha costituito recentemente “Officinae Verdi”, la prima società in Europa che integra la cultura di un’associazione ambientalista, un partner finanziario come Unicredit e uno tecnologico come Solon, leader continentale nelle tecnologie fotovoltaiche, con una partecipazione di 1/3 per ciascuno dei tre soggetti. Spiega il presidente Benedetto: «Abbiamo costruito un modello innovativo, capace di incidere realmente sullo sviluppo della green economy e sulla lotta ai cambiamenti climatici, non solo in perfetta sintonia con gli obiettivi e le politiche comunitarie, ma anche come alternativa possibile alla dipendenza dall’energia fossile e dalle mega centrali».
Accantonata dunque la pericolosa illusione del nucleare, adesso l’Italia ha l’opportunità di marciare verso la “nuova frontiera” dell’energia, all’insegna della sostenibilità e della compatibilità ambientale. Ormai non è più un problema di soluzioni tecnologiche, ma solo di investimenti e di scelte politiche.
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