«Patto senza senso»

by Sergio Segio | 29 Luglio 2011 8:03

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 «Prima finisce l’attività  di questo governo meglio è. Poi ci sarebbe una sola cosa da fare: andare alle urne». Sergio Cofferati, europarlamentare del Pd ed ex segretario generale della Cgil, è molto preoccupato per l’autunno quando «si concretizzeranno sulla pelle dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani le conseguenze di una manovra economica ingiusta, senza sviluppo e temo inutile ai fini della riduzione del debito. Le organizzazioni sindacali dovrebbero mettere in campo grandi mobilitazioni contro l’iniquità  della manovra, invece di sottoscrivere ambigui e inutili patti finalizzati allo stare insieme, senza contenuti. Il rischio è che i sindacati si riducano a svolgere, non so quanto consapevolmente, una funzione politica, rinunciando alla loro autonomia».

Tutti insieme appassionatamente, imprenditori, banchieri e sindacati per chiedere una discontinuità  alla guida del governo. Seguono cori entusiasti che evocano lo spirito del ’92-’93. Come giudichi questa iniziativa, nel pieno di una pesante crisi finanziaria, economica e sociale?
Lascerei da parte lo spirito del ’92-’93, e persino la manovra fatta da Prodi con una tassa per l’Europa, restituita un anno dopo alla metà  dei contribuenti. Comunque la si pensi, in quelle manovre c’erano anche elementi di equità . In vent’anni, poi, la condizione sociale non è certo migliorata. Oggi la manovra economica del governo è iniqua, non c’è un’idea di crescita e sviluppo perché non si investe un euro nella ricerca e nell’innovazione o in una seria politica di infrastrutture. Una manovra che colpisce le famiglie, i lavoratori dipendenti, i pensionati e soprattutto i giovani. Con i ticket sanitari, l’Irpef sulla prima casa, l’attacco alla previdenza. Non c’è occupazione aggiuntiva in vista e senza investimenti i giovani che escono dalla scuola non hanno prospettive lavorative, mentre centinaia di migliaia di dipendenti in cassa integrazione in deroga perderanno il lavoro. La crescita della disoccupazione, contestualmente alla caduta delle protezioni sociali, può determinare un clima pericoloso non tra un anno ma subito, già  a settembre: temo reazioni di scoramento, sfiducia, disaffezione, lontananza crescente dalla politica. I sindacati, qualora se ne rendessero conto dovrebbero organizzare grandi mobilitazioni contro la manovra, non per ridurne l’entità  ma per introdurre elementi di equità  sociale. Firmare invece patti generici con le controparti che chiedono politiche di sviluppo senza dire come e quali, fa pensare a una scelta politicista, a una rinuncia a esercitare la propria autonomia. A chi evoca lo spirito del ’92-’93 sfugge che gli elementi positivi di quella stagione sono stati cancellati dall’accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil di un mese fa su contratti e rappresentanza.
L’Italia è a rischio, e in nome dell’emergenza crescono le tentazioni di unità  senza principi. Come valuti questa crisi, e come bisognerebbe affrontarla?
L’emergenza è reale, è sotto gli occhi di tutti. È stata provocata dagli errori clamorosi del governo Berlusconi per le cose fatte e per quelle non fatte. Abbiamo un grande debito che ci espone alle richieste europee di rientro ma abbiamo anche, a differenza di altri paesi, un’assenza di crescita. Rischiamo il tracollo provocato dalla speculazione sul debito e l’esplosione di una crisi sociale per mancanza di risorse, riduzione del welfare e caduta dell’occupazione. A questo il governo risponde con una manovra che non prende neanche in considerazione l’idea della crescita, iniqua perché pesa sui redditi più bassi e inefficace persino a fini della riduzione del debito. Insospettabili commentatori parlano di macelleria sociale su giornali che l’indomani brindano allo spirito del patto inconsistente tra le parti sociali. In questo quadro, invece di generici richiami allo stare insieme servirebbero, lo ripeto, iniziative sindacali di lotta. Le manovre e gli accordi del ’92-’93, la stessa manovra correttiva di Dini del ’95 erano molto pesanti ma contenevano elementi di equità  in un contesto di coesione, concertazione, politica dei redditi, e incentivi alla crescita.
Cosa bisognerebbe mettere in campo per riavviare una politica di sviluppo?
Investimenti per l’innovazione e la ricerca e l’ammodernamento delle infrastrutture, in chiave keynesiana. Le risorse si possono trovare dai privati e con interventi previsti in campo europeo, dagli eurobond a una tassa sulle transizioni finanziarie. Lo so anch’io che tali interventi dovrebbero essere messi in campo a livello europeo, ma nessuno ci impedirebbe di anticiparli, o di intervenire sulle grandi ricchezze accumulate, sia finanziarie che materiali. Questo dovrebbe essere messo al centro di una grande battaglia per l’uscita dalla crisi e l’avvio di una stagione di sviluppo, reintroducendo elementi di giustizia sociale. Mi rendo conto che si tratterebbe di invertire una tendenza negativa e penso che in questo ipotetico ma concreto scenario l’accordo sventolato tra le parti sociali non avrebbe, come non ha, né capo né coda. Il documento «unitario» tra le rappresentanze sociali è privo di indicazioni concrete, ha un carattere puramente evocativo, chiede una discontinuità  al vertice del governo sognandone uno di larghe intese ed è rivolto all’embrassons nous della politica. Berlusconi se ne deve andare il prima possibile, ma l’unica conseguenza logica e democratica dovrebbero essere le elezioni. Cgil «C’è il rischio di passare l’estate in un’altalena disastrosa sui conti pubblici. È arrivato il momento di giungere al dunque: o c’è un nuovo progetto per il Paese o è meglio cambiare il soggetto che governa il Paese», dice Susanna Camusso, segretario della Cgil, che ha firmato «il Patto per la crescita», sotto la spinta di Confindustria, con Cisl, Ugl, Abi, l’Alleanza delle cooperative italiane (Confcooperative, Lega delle coop, Agci), Rete Imprese Italia (Confcommercio, Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confesercenti), Confagricoltura, Confapi, Coldiretti, Cia. Solo la Uil si è dissociata, con il numero uno, Luigi Angeletti, che non si è riconosciuto nel testo, giudicandolo «doroteo».

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