Lo Squalo Rupert alle forche caudine
Pallido come la sua camicia bianca e furente dietro la finzione dell’umiltà , il tycoon globale di stampa e tv deve inchinarsi finalmente davanti alla sovranità della democrazia britannica. Rupert Murdoch, squalo trasformato ora in tonno nella tonnara della indignazione popolare.
Per sopravvivere alla scoperta del suo “metodo Boffo planetario” di calunnie e di giornalismo corrotto e corruttore, l’ottantenne Rupert Murdoch che controlla 200 giornali e network televisivi in tre continenti, deve pagare tributo a quella democrazia che lui credeva di poter manipolare con i ricatti, i 18 miliardi del suo portafoglio, i 56 mila dipendenti e i rapporti personali con i grandi. Per tre ore non più predatore ma preda, Rupert Murdoch recita, con il figlio e principe ereditario James che gli fa da spalla e da stampella, la parte del pentito, del patriarca sorpreso, addolorato, ignaro («io non potevo sapere tutto», la solita scusa) e un po’ rimbambito (quanti «non ricordo») offeso dai comportamenti dei giornali e direttori che invece proprio lui spinge e manovra, come tanti di loro hanno ammesso, a fare esattamente ciò di cui ora finge di rammaricarsi.
Non è quella torta di crema da barba lanciata contro la sua giacca da un fanatico entrato nell’aula delle audizioni parlamentari con un pacco in mano, sotto il naso di Scotland Yard e della security, ad averlo umiliato, nel momento di paura che ha visto la moglie quarantenne Wendi Deng lanciarsi per prima con l’agilità di una vera «flyng tiger» cinese sull’aggressore, ma non lui, impietrito. Anche lei, come un’altra signora in ben altre circostanze, Anne la moglie di Strauss-Kahn, queste donne che sono le prime e assolute guardie del corpo di un marito nei guai. È il suo essersi trovato per la prima volta nella vita nella posizione non del Minosse dei media, ma dell’anima in giudizio, domandando scusa e promettendo di far meglio in futuro. «Tycoon» ridotto alle dimensioni di un imputato di fatto, se non ancora di diritto.
Come sempre accade in queste audizioni che i parlamenti anglosassoni, in Gran Bretagna e negli Usa, richiedono come catarsi pubblica per calmare il popolo, prima che come eventuali inchieste giudiziarie, non sono state le sue parole, o quelle di Rebekah Brooks, la «Gorgone Rossa» sua favorita e protetta, divenuta per l’occasione compunta pecorella, l’ex direttrice del settimanale chiuso nella vergogna, News of the World, a dirci la verità . È stato il loro «body language», i movimenti del corpo, della testa, delle mani a parlare, le inflessioni della voce. Mentre Rebekah, responsabile delle intercettazioni illegali addirittura anche su parenti delle vittime delle Torri Gemelle pur di far cassetta, bisbigliava scuse e pentimenti con la vocetta di una Hermione da Harry Potter colta in castagna nel castello dei maghi, Rupert aveva cominciato a picchiare sul tavolo, usando la mano a taglio, come una mannaia, prima che sempre la moglie Wendi, l’angelo custode alle sue spalle, gli sibilasse di non farlo.
Umiltà fittizia, pentimenti ipocriti da bambini scoperti a rubare le caramelle, specialmente in Murdoch che teneva le dita incrociate e serrate strettamente sul tavolo, quasi a volerle frenare. Ma non riusciva a non allungarle periodicamente per afferrare l’avambraccio del figlio e principe ereditario, James, lo studente fuori corso e mai laureato a Harvard che oggi guida tanta parte della News Corporation in Europa e Asia, e a zittirlo per puntualizzare e chiarire, impaziente con il bambino. Si vedeva, nella sua testa piegata sul petto come se si stesse appisolando, nel mento plissettato dagli anni che teneva fermo e schiacciato sul perfetto nodo della cravatta a pallini, che colui che i grandi della Terra, dalla Thatcher a Clinton, da Blair a Bush, a Cameron hanno corteggiato e ora disconoscono, avrebbe voluto rovesciare la scrivania e mandare tutti quei «commoners», quei deputati, a quel paese.
Rabbia, sotto la schiuma da barba. Odi antichi. Da bravo suddito della Corona nato nell’antica colonia penale britannica, l’Australia, e oggi americanizzato, gli è scappata una frase nell’ira che racconta tutto il suo profondo disprezzo e forse «inferiority complex» per questa Inghilterra di parrucconi che dice di ammirare, ma che ha cercato di comperare e corrompere e oggi si vendica del parvenù venuto da «down under», da «là sotto», dagli antipodi: «La verità è che Londra non perdonò mai a mio padre, editore di un piccolo quotidiano in Australia, di avere rivelato lo scandalo di Gallipoli», ha ringhiato, la tragica e demenziale spedizione militare imposta da Churchill contro la Turchia nella Prima Guerra mondiale, dove furono invano sacrificate alla supponenza britannica migliaia e migliaia di soldati australiani.
Le verità che lui avrebbe voluto dire, ma non poteva per non perdere, dopo la rete BSkyB anche quelle auguste testate come il Times strappate ai parrucconi senza soldi, era nel disprezzo dietro l’umiltà ostentata: «Questo è il giorno più umiliante della mia carriera». Lui disprezza quel mondo, quella democrazia, quelle regole che dice di voler rafforzare attraverso «la trasparenza» (cioè gli scoop estorti con ricatti, hacking di posta elettronica e intercettazioni abusive private, senza autorizzazioni giudiziarie, fuori dunque da ogni regola democratica) e il totem della «concorrenza». Ci sono politicanti incorruttibili? Sorride: «Soltanto a Singapore, dove pagano i ministri un milione all’anno e quindi non si possono comperare» rispondeva con il tono di chi sa di che parla.
Esiste per le persone nella vita pubblica una sfera di privacy, gli hanno chiesto: «No» e basta. Non ci sono limiti alle acquisizioni e alla lotta contro la concorrenza? «No», perchè in alcuni casi, «come in Italia, ci siamo trovati di fronte un concorrente molto tricky», la Mediaset del tycoon primo ministro Berlusconi. Un aggettivo, questo, che ha molte possibili traduzioni, insidioso, sfuggente, abile, ma nessuna accezione lusinghiera, come ricorda l’uso che ne fu fatto per Nixon, ribattezzato appunto «Tricky Dicky». Il baro.
La botta di schiuma da barba sulla spalla che gli ha rovinato la bella giacca e lo ha costretto a finire la deposizione in maniche di camicia, dopo che alcuni dimostranti avevano innalzato cartelli con la scritta «Il Popolo è contro Murdoch», è stata una innocua risposta alle torte di fango che molti dei suoi media, a cominciare dalla Fox americana, lanciano contro gli avversari designati da lui. Ma neppure queste tormentose tre ore davanti a una commissione parlamentare più verbosa che accanita distruggeranno l’impero del pescecane. È stata soltanto forma, ma, proprio come insegnano gli inglesi, anche la forma, nelle nazioni civili, è sostanza.
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