by Sergio Segio | 5 Luglio 2011 6:44
«Luogo dell’esclusione organizzata». Per Nicola Solimano, responsabile dell’area osservatori sociali e attività editoriali della Fondazione Michelucci, «questo è il campo nomadi». Da oltre vent’anni la Fondazione Michelucci, in collaborazione con la Regione Toscana, porta avanti ricerche sui temi dell’habitat sociale e realizza progetti per l’inclusione abitativa dei rom. Punto di partenza dell’intervista lo spazio delle città , indicatore sensibile della società che lo vive, specialmente quando questo diventa lente d’ingrandimento sulle dinamiche di esclusione sociale. «Questa idea di ghettizzazione non dovrebbe essere accettata nelle nostre città ».
La Regione fin dal 1995 ha approvato una legge, perfezionata nel 2000, che sancisce la chiusura dei campi nomadi. Oggi, qual è la situazione in Toscana?
La possibilità di intraprendere una pluralità di percorsi alternativi al campo, dalla creazione di villaggi residenziali alle integrazioni “ad hoc” nelle case popolari, ha fatto si che nel tempo la popolazione rom che vive nei campi toscani si sia dimezzata. Dalla metà degli anni novanta fino ai primi anni del duemila i comuni toscani sono stati molto attivi in questo senso. Tantissimi i progetti avviati. Le cose sono cambiate intorno al 2005 quando il tema della sicurezza lanciato dalla destra investì anche regioni come la Toscana, terra di sinistra. Dalla sperimentazione che doveva portare al superamento dei campi si è passati alla semplice erosione per svuotamento. Il tutto senza fare i conti con una nuova povertà abitativa legata all’immigrazione recente. Un disagio che non investe solamente la popolazione rom: anche migranti e piccoli pezzetti di società italiana sono stati “campizzati”.
Come si pongono le istituzioni toscane nei confronti di questa nuova precarietà abitativa?
Questo tema impone una riflessione importante: è necessario distinguere tra la povertà abitativa e la questione rom. Questi due aspetti coincidono solo in parte e nel secondo caso le difficoltà da affrontare sono molteplici e differenti. Per questo motivo gli strumenti efficaci qualche anno fa con le nuove migrazioni si sono rivelati inadeguati. Oggi la Regione ha presentato in giunta un piano triennale che indica una scala di priorità di intervento per le situazioni più critiche e questo potrà dare un nuovo impulso al percorso. Eppure in generale possiamo dire che rispetto a qualche anno fa a livello di gestione comunale si è affievolita quella spinta propulsiva che ha reso possibili i progetti degli anni passati.
Chiaro il riferimento al tema della sicurezza. In che modo questo incide sulla realizzazione dei percorsi di integrazione per la popolazione rom?
Il tema della sicurezza investe maggiormente la politica locale, quella designata a gestire direttamente i territori e le conflittualità che vi si creano. Rispetto a questo la Regione è meno influenzata: la linea indicata dalla legge regionale deve incontrarsi con la volontà politica locale per avere un seguito rilevante. Per esempio l’amministrazione di Pisa ha fatto della sicurezza una delle sue priorità ridimensionando le politiche di superamento dei campi che erano state avviate nonostante la situazione cittadina presenti alcune criticità rilevanti, dal numero di persone che ancora vive nei campi ai fenomeni di nuova immigrazione.
Passiamo a Firenze. Sono passati quasi quindici anni dall’inaugurazione – tra le polemiche dei partiti di destra e le proteste della cittadinanza – del villaggio del Guarlone dove vivono alcune famiglie rom. Un esperimento ben riuscito che però non ha fatto da “modello” per altri progetti simili come invece era stato previsto. È sempre così difficile gestire la “questione rom”?
La politica mantiene sempre un alto livello di strumentalizzazione nei confronti di questi progetti. Nella polemica relativa al Guarlone si è arrivati a una situazione paradossale: quei partiti di destra che nel 1998 puntavano il dito contro i campi rom si sono scagliati, una volta verificata la natura residenziale del Guarlone, contro il fatto che venissero regalate delle case ai rom che potevano essere date agli italiani. Quelle stesse forze, poi, nell’ultima campagna elettorale, hanno avuto il coraggio di accusare l’amministrazione di centrosinistra di non aver riproposto un progetto ben riuscito come quello del Guarlone in altre parti della città . Un esempio che indica come il livello di strumentalizzazione politica di questi progetti sia indipendente dal loro esito.
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