«La Svizzera è No Tir, l’Italia pensa alla Tav»

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 La Tav Torino-Lione? «Facciamo fatica a capire perché l’Italia non privilegi invece il corridoio transeuropeo che passa per il San Gottardo, su cui la Svizzera ha investito molto con l’opera AlpTransit che sarà  pronta nel 2019, almeno 15 anni prima della linea a cui si oppongono le popolazioni delle valli piemontesi. Tanto più che il 90% del flusso di merci corre sull’asse nord Europa-Italia». Stefano Vescovi, consigliere economico dell’ambasciata di Svizzera e responsabile tra l’altro delle politiche dei trasporti, non è certo un «No Tav». E proprio per questo il suo punto di vista – che poi è quello del Paese scudocrociato – è di grande rilevanza.

Ci spieghi il punto di vista svizzero.
Nessuno mette in dubbio che l’ideale sarebbe creare un sistema di trasporti persone-merci su rotaia che unisca il sud dell’Italia col nord Europa, e anche che si possa creare un’asse est ovest. Ma posso fare una premessa?
Prego.
Quando parliamo di infrastrutture importanti, come la Tav o la AlpTransit, le vediamo un po’ come il compimento della politica dei trasporti. Non è così. In realtà  sono mezzi che servono per raggiungere l’obiettivo superiore dello sviluppo economico votato al benessere. La base della politica svizzera, scritta anche nella Costituzione, è di avere una mobilità  che rispetti le esigenze di economia ma anche l’arco Alpino, la natura e l’uomo.
Allora i No Tav hanno torto?
Il problema è che il 90% dei flussi di merci in partenza e in arrivo dall’Italia corrono verso il nord, in particolare sul corridoio Genova-Rotterdam, cosiddetto «dei due mari», e non sull’asse est-ovest. I grandi partner commerciali italiani sono la Germania, i Paesi Bassi, il Belgio, l’Inghilterra, la Polonia e il nord produttivo della Francia mentre il Sud è collegabile via costa. O via mare, che è il modo più ecologico di trasportare merci ed è il motivo per il quale noi crediamo che il porto di Genova potrebbe diventare, con la giusta pianificazione, uno dei più importanti snodi di quest’area del Mediterraneo. Dunque i corridoi necessari sono quelli attraverso il San Gottardo, il Brennero o il Sempione. Motivo per il quale noi stiamo ultimando il nuovo tunnel del Gottardo, in Ticino, che con i suoi 57 chilometri di binari è il più lungo del mondo e quando sarà  pronto nel 2016 sarà  una pista perfetta per trasportare da Milano, dove si concentra la maggior pare della produzione industriale, ma anche da Torino, merci e persone verso il nord. Riguardo la Torino-Lione, che non sarà  comunque pronta prima del 2030, si dice che serva per andare in Spagna e Portogallo ma non si dice che lì c’è una ferrovia a scartamento ridotto e quindi i problemi sono enormi.
La vostra non è stata una scelta di alta velocità , dunque.
No, ovvio che poiché la linea corre a bassa quota dimezzerà  i tempi di percorrenza dei passeggeri e in teoria potrebbe collegare Napoli ad Amburgo o Londra.
A quando risale la “svolta verde” svizzera?
Quando nel 1980 venne aperta la galleria autostradale del San Gottardo, ultimo tassello della galleria continentale Napoli-Amburgo, sul nostro paese si riversò una valanga di camion arrivati, all’inizio degli anni ’90, a oltre un milione l’anno. Ci fu un aumento di malattie, la qualità  della vita scendeva e ci si rese conto che era saltato qualunque limite, perché il mercato divora tutto e la strada è un sistema incontrollato. Basti pensare che nella nostra società  i morti stradali vengono considerati quasi un elemento totemico, qualcosa di normale. Nel ’94, allora, le popolazioni delle zone alpine lanciarono “l’iniziativa delle Alpi”, un referendum propositivo molto difficile da vincere perché necessità  di una doppia maggioranza, quella del popolo e dei cantoni. È stato vinto proprio perché proponevamo una nuova politica dei trasporti basata sulla razionalizzazione e sulla riduzione dell’impatto sociale ambientale, climatico. Una scelta che ha addirittura aumentato la competitività  economica.
Chi si è opposto?
Per vent’anni i camionisti si sono opposti in tutti i modi anche per vie giuridiche fino a che il Tribunale federale l’anno scorso gli ha dato torto. Si opponevano ad una politica che aveva deciso di internalizzare i costi causati dalla strada: rumore, inquinamento atmosferico, incidenti stradali e abbrutimento sociale. Abbiamo invertito la tendenza con un sistema che tassa i camion in base al tonnellaggio, ai chilometri percorsi in Svizzera e alle emissioni prodotte dal veicolo, una tassa che in media a Chiasso a Basilea ammonta a circa 200 euro a viaggio. In questo modo abbiamo eliminato i trasporti a vuoto che erano il 9%, stimolato una migliore programmazione logistica, ridotto l’impatto ambientale e raccolto fondi da investire sulla ferrovia. Oggi sulle strade svizzere passano circa 1,2 milioni di camion l’anno, ma dopo l’entrata in funzione l’AlpTransit dovranno essere ridotti ad un massimo di 650 mila.
Quali sono i problemi con l’Italia?
Abbiamo due politiche antitetiche, difficili da mettere insieme, perché in Italia i trasportatori vengono sovvenzionati anche in un momento di crisi come questo, e le ferrovie indebolite. Inoltre l’Italia è in ritardo nell’applicazione dell’accordo firmato dall’allora ministro Treu nel 1999 e entrato in vigore dieci anni fa che prevede di raccordarsi alla direttrice del Gottardo attraverso il quadruplicamento della linea Milano-Lugano che è uno dei più importanti flussi di merci e passeggeri.
Quanto è costata l’opera?
La realizzazione dei due tunnel della AlpTransit, il Gottardo e il Ceneri, è costata circa 15-16 miliardi di euro. (Il Ponte sullo stretto di Messina ne costerebbe almeno 7, ndr). Non usufruendo di contributi europei ma partecipando alla costruzione delle reti Ten (transeuropee), i soldi noi li abbiamo tirati fuori dalla tassa sui camion e sui carburanti. È una questione di mentalità : in Italia prima si soppesano i fondi europei, poi inizia tutta una trafila burocratica e istituzionale, e solo alla fine ci si rende magari conto che non c’è il sostegno della popolazione. Da noi si parte dal recupero dei fondi e dalla condivisione con la cittadinanza.
Come avete convinto i cittadini delle valli e le associazioni ambientaliste che in Svizzera sono più potenti dei sindacati?
Ci sono state tante critiche, però la concettualità  del progetto era condivisa. Abbiamo preso tutta una serie di misure per poter minimizzare l’impatto negativo sulla popolazione locale durante la costruzione (rulli sotterranei per il trasporto terra, ecc) e dell’opera ultimata. I problemi dei cittadini – essere salvaguardati dal rumore e non essere disturbati dal tracciato che certo non può tagliare in due una valle – vanno compresi. E risolti.


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