Libri, la decrescita felice votata dai grandi editori

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Decrescita felice. Uno slogan da applicare anche al numero di libri che escono ogni anno? Da qualche giorno gli editori stanno discutendo di questo, visto che i testi pubblicati sono talmente tanti (al ritmo di 160 al giorno) da cannibalizzarsi prima ancora di entrare in libreria, e da restarci comunque poche settimane prima di finire in resa. Di fronte alla proposta rilanciata da Marco Cassini di minimum fax, a sua volta frutto di una riflessione condivisa dal gruppo di scrittori TQ e accolta ieri con più entusiamo che riserve dai colleghi editori medio-piccoli, gli editori più grandi sorridono. Magari un po’ sornioni, ma apertamente solidali: «Il problema posto è giusto – dice Massimo Turchetta, direttore generale dei libri trade Rizzoli – e la proposta è condivisibile. Ma soprattutto dimostra che fra grandi e piccoli editori c’è molto in comune, il mestiere. Chi non vorrebbe pubblicare meno titoli e venderne di più?». Resta però che la potenza di fuoco della grande industria editoriale, anche in termini di numero di proposte, è strabordante… «Il fatto è che il grande marchio macchina perfetta di marketing purtroppo è una leggenda. È per tutti questione di equilibrio: fare abbastanza novità  da darsi la possibilità  di incappare nel best seller inaspettato, ma non così tante da vedersi restituire i propri titoli per far spazio a quelli nuovi».
Virtuosissimo, quanto a “decrescita” auspicata e praticata, si dichiara Stefano Mauri, al vertice dei sedici marchi del gruppo Gems: «L’ho sempre fatto quando ho acquisito e risanato case editrici in difficoltà . Garzanti oggi pubblica ancora il 30 per cento in meno dei titoli del 2003, ma ha il doppio del fatturato. Il gruppo fa 1200 novità  all’anno, che è appena il 2 per cento del totale dei libri pubblicati, ma porta il 16 per cento della quota di mercato. Naturalmente essere molto selettivi, che è una forma di rispetto verso il lettore e i librai, ha qualche costo nei rapporti con gli autori, e a noi richiede fatica. Leggiamo seimila manoscritti all’anno per tirar fuori 150 esordienti promettenti».
Concorda con Cassini, Mauri che la crescita “gonfiata” dalla necessità  di farsi vedere, o peggio di bilanciare le rese ricevute, è una patologia: «Se c’è stato un momento in cui gli editori anche grandi hanno esagerato, sono stati gli anni ’80-’90. Da tempo non è più così. Ora piuttosto bisogna badare a non tagliare titoli di cui è impossibile anticipare le potenzialità . Non è un mistero che di Saviano e del Cacciatore di aquiloni i loro editori all’uscita prevedevano di venderne cinquemila copie… Tutti pubblichiamo libri che sappiamo in anticipo potrebbero essere in perdita, la condizione è che siano libri noi per primi consideriamo importanti».
Ma insomma, di chi sono, allora, i libri “inutili” o almeno resi tali dall’impazienza del mercato che li butta fuori dalle librerie al primo assaggio? Il presidente dell’Associazione Librai Italiani Paolo Pisanti ha idee chiare: «Un’ampia quantità  di titoli è un’offerta in più per i lettori. I volumi che affollano i nostri banchi e le nostre vetrine non sono quelli dei grandi editori (lo stesso colosso Mondadori non arriva a 6500 titoli all’anno) ma quelli dei piccoli, poche copie moltiplicate per moltissimi marchi». Turchetta rincara: «Mi vengono in mente le migliaia di ristampe di titoli fuori diritti, il ventesimo Pirandello o la trentesima Madame Bovary a basso prezzo anche da editori medio piccoli. Naturalmente sull'”inutili” bisogna intendersi, sono utili al libraio che li vende, al nuovo lettore che li trova scontati, e all’editore per cui sono un rivolo d’acqua prezioso durante la siccità  delle crisi. Ma la libreria è un collo di bottiglia stretto, a cercare di farci entrare di tutto scatta la selezione darwiniana. In questo la ricetta di pubblicare meno novità  ma più sicure, di per sé, non aiuta, anzi incoraggia le librerie a diminuire l’assortimento puntando solo sui bestseller. Mentre l’unica possibilità  che ai libri si allunghi la vita è che penetrino di più nella società , che le librerie diventino sempre più punto di discussione e di incontro, che si moltiplichino eventi culturali capaci di allargare il pubblico».
Sulle librerie, crocevia di libri e lettori e croce degli editori che lottano per entrarci e non uscirne di corsa (almeno finché quelle elettroniche virtualmente infinite non cambieranno più radicalmente le cose) tornano a concentrarsi attenzione e polemica. Che Pisanti rimanda al mittente così: «Abbiamo 10 o 20 bestseller all’anno. Se ne avessimo 100 sarebbe molto meglio, e sta agli editori sfornarli».


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EDITORIA.  Ottimisti ad ogni costo, gli analisti dell’Aie, l’Associazione Italiana Editori, hanno cominciato il loro annuale Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia (presentato ieri a Francoforte nella giornata inaugurale della Buchmesse) con una frase che cerca, piuttosto pateticamente, di apparire positiva: «Torna un modesto segno più nel mercato del libro nel 2010».

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