Le mani delle ‘ndrine sull’acqua calabrese

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 Non solo eolico ed energia da biomassa. Ma anche l’acqua, l’oro bianco, il nuovo business su cui allungare i tentacoli. Non usa mezze parole Beppe Pisanu, presidente dell’Antimafia, nella relazione di medio termine sulla criminalità  organizzata, presentata ai primi di luglio: «Le mafie hanno avuto sempre la tendenza ad appropriarsi dei beni comuni e a gestirli per personali esigenze di potere e ricchezza. Basti pensare al controllo dell’acqua in Sicilia e in Calabria (come rilevato nell’audizione dell’ex presidente della regione Calabria, Agazio Loiero ndr) che ha nel tempo rappresentato un giogo illecito imposto su intere popolazioni». Nel dare forza ai propri assunti la Commissione Antimafia ha ricordato l’indagine Naos della Procura di Perugia che ha aperto uno squarcio dentro i nuovi assetti organizzativi delle cosche dell’alta Locride e nelle strategie criminali che le stesse stavano perseguendo.

L’inchiesta, condotta dal Ros dei carabinieri e dai magistrati della Dda del capoluogo umbro, ha squadernato un pericoloso intreccio fra cosche, uomini politici, bancari e imprenditori-prestanome, per allungare le grinfie delle ‘ndrine sulla realizzazione di opere pubbliche, centri commerciali e insediamenti turistici. In manette presunti affiliati alle cosche calabresi dei Morabito-Bruzzaniti-Palamara, ma anche funzionari di banca e uomini politici calabresi.
Il progetto più interessante riguardava la realizzazione di una centrale idroelettrica nella Vallata dello Stilaro, a Bivongi insieme ad impianti eolici nel territorio dello stesso comune. Fatti che dimostrano la perfetta conoscenza che gli ‘ndranghetisti hanno delle leggi e dei finanziamenti sulle fonti rinnovabili. Così, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del Gip di Perugia, «in data 14 settembre 2006, venivano costituite la Teti Spa e la Bnn Costruzioni Srl, entrambe con sede legale in Perugia, società  funzionalmente volte l’una alla ristrutturazione della centrale idroelettrica, l’altra alla gestione e produzione dell’energia». Quali i progetti? «Da accertamenti esperiti si è appreso che la centrale elettrica è sita nel comune di Bivongi ed è attualmente inattiva. È stato appurato altresì che presso quell’amministrazione comunale sono stati presentati progetti per la riutilizzazione o riqualificazione della suddetta centrale e per la realizzazione di impianti per la produzione di energia alternativa di tipo eolico».
In Calabria ci sono, in effetti, molte centrali idroelettriche abbandonate perché ritenute meno convenienti rispetto agli impianti termoelettrici. Ma ora, dopo le leggi che favoriscono e finanziano le energie rinnovabili, sono tornate appetibili e la ‘ndrangheta ci investe. Così uno degli arrestati, Giuseppe Benincasa, in una conversazione intercettata, dice di essere in procinto di realizzare «una centrale idroelettrica in Calabria per la produzione di elettricità  da rivendere all’Enel». E un altro, Luigi Cecioni, evidentemente molto bene informato, afferma: «…siccome è rinnovabile, questa energia che si chiama energia verde viene acquistata dalle grandi… Capito… quelli produttrici tipo l’Enel tipo… tipo che ne so la Edison tipo, insomma queste che producono energia con… bruciando carbone, bruciando metano facendo tante cose, però devono avere una produzione di energia che in pratica, una parte deve essere fatta con queste fonti rinnovabili e se non ce l’hanno la devono comprare, una specie di mercato, una specie di borsa capito?».
Un grosso affare da non perdere, al punto di minacciare i concorrenti. Uno di loro il 9 novembre 2006 presenta una denuncia ai carabinieri di Monasterace Marina raccontando che due uomini gli avevano testualmente detto: «Nessuno deve venire da fuori a fare i lavori nel nostro territorio perché noi non stiamo con le mani in mano e i lavori della centrale li facciamo noi». Un affare troppo importante, al punto da far giungere a un’intesa gli esponenti delle cosche reggine nel corso di un summit proprio a Monasterace. Nelle conversazioni telefoniche intercettate dai carabinieri del Ros si fa riferimento, come scrive il Gip di Perugia, a un incontro tra «gruppi criminali storicamente non alleati che hanno stabilito accordi volti a dirimere le passate controversie». A conclusione del summit i due gruppi contrapposti (Ielo-Vadalà  e Ruga-Metastasio) trovarono, aggiunge il Gip, una «intesa di massima sulla realizzazione della centrale idroelettrica di Bivongi». L’esito della trattativa sarebbe da attribuire ad Antonio Vadalà  che, evidenzia il Gip, «godeva di intese politico-istituzionali, riuscendo a gestire le trattative con l’appoggio dell’assessore Tripodi». L’uomo politico, ex responsabile per il turismo e le attività  produttive, attuale consigliere regionale dell’Udc (ma in rotta col suo partito) finito in manette e poi scarcerato, viene tirato in ballo in varie intercettazioni. In una del dicembre 2006 Antonino Vadalà  affermava: «Loro hanno capito che con noi hanno da guadagnare pure, ci vuole… perché io cosa avevo pensato di chiamare l’assessore e gli dico “il progetto tu lo firmi a me non a loro”». In un’altra intercettazione dello stesso mese un altro degli arrestati, Luigi Martinelli, così spiega: «Ci hanno aperto totalmente le porte sopra a tutto… perché là  c’è il fatto del gioco non come viene viene… è l’anello di congiunzione con il politico… Pasquale Tripodi di Bova… hai capito? …infatti l’altra sera abbiamo mangiato con lui… ed è colui che firmerà  le concessioni delle centrali idroelettriche».
Queste indagini – è scritto nella relazione della Commissione Antimafia – dimostrano ancora una volta «la capacità  delle cosche di districarsi tra le regole legislative, societarie, amministrative, per realizzare un progetto in fondo assai semplice: sfruttare le energie rinnovabili a fini di lucro». Infilandosi nel cuneo di liberismo selvaggio e finanziamenti pubblici a go go per soddisfare le proprie mire espansioniste. E le ricadute di questa nuova strategia mafiosa finiscono poi sulle spalle della collettività  perché «lo sfruttamento delle energie rappresenta una modernizzazione delle antiche abitudini delle cosche; con l’effetto non più solo di dipendenza degli utenti/cittadini dai voleri delle mafie ma anche con un effetto di enorme arricchimento atteso che il settore è piuttosto remunerativo coinvolgendo forniture di notevole quantità ». La ‘ndrangheta punta, dunque, ad impadronirsi anche dell’acqua e di ciò che dalle risorse idriche viene prodotto. Un motivo in più per proseguire lungo la via maestra tracciata il 12 e 13 giugno.


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