Le donne vanno avanti, l’Italia no

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 Donne che vanno avanti nonostante un paese che le tira indietro. Sono le linee essenziali del quadro statistico che tratteggia per il manifesto Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat, istituto nazionale di statistica. Il suo è uno degli interventi più autorevoli attesi questa mattina nella piazza del Duomo di Siena, alla manifestazione delle donne del comitato Se non ora quando, quelle del 13 febbraio. Fa una premessa. «Quando sono entrata all’Istat, all’inizio degli anni ottanta, l’approccio di genere non esisteva. Oggi si è esteso a tutti i settori. La ricchezza di dati di cui oggi disponiamo non ha precedenti, il lavoro non retribuito è statistica ufficiale e così la violenza contro le donne. Serve per tutti: avere dati solidi, dal punto di vista della qualità , è un patrimonio enorme, per valorizzare non le donne, ma il Paese. Ma i dati bisogna usarli e saperli usare, non vanno strumentalizzati, servono per capire e poi agire al meglio».

In questi giorni l’iniziativa di alcune donne a proposito dei soldi «risparmiati» con l’equiparazione dell’età  pensionabile delle donne nel pubblico impiego e non riutilizzati a favore del welfare e della conciliazione, hanno riproposto il difficile rapporto fra italiane e lavoro.
La condizione delle donne rispetto al lavoro è difficile nel nostro Paese. Meno della metà  delle donne lavora. Nel Sud, in alcune regioni, non si arriva neanche a un terzo. Il tasso di disoccupazione femminile è del 9,7 per cento contro il 7,6 degli uomini. Il problema c’è per le italiane e persino per le immigrate soprattutto se hanno figli. Abbiamo il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa a parte Malta. A cui va aggiunto il fenomeno dello scoraggiamento.
Cos’è il fenomeno dello scoraggiamento?
Molte donne il lavoro non lo cercano neanche, desistono, si scoraggiano. Queste donne non rientrano nella definizione di disoccupate condivisa a livello internazionale, perché non cercano lavoro. Alle nostre domande, una importante porzione di donne del Sud ci risponde: «Non l’ho cercato perché so che non lo troverò». Altro elemento critico è il fatto che le donne hanno più spesso lavori a tempo determinato o collaborazioni, e questa situazione si protrae per periodi più lunghi.
Con conseguenze sugli stipendi.
A parità  di titolo di studio, le donne guadagnano meno degli uomini, e ciò è dovuto anche al fatto che più donne che uomini si trovano a svolgere lavori non all’altezza del titolo di studio che hanno raggiunto. I numeri dicono il 40 per cento delle laureate contro il 30 dei laureati. Le donne continuano ad essere molto poche nei luoghi decisionali.
Sembra una foto in bianco e nero, cioè di tanti anni fa.
Ci sono problemi di accesso, mantenimento e qualità  del lavoro. Per le donne continua a permanere una criticità  che esisteva anche in passato, quella delle interruzioni per motivi familiari. Nel tempo, l’uscita per matrimonio è diminuita, perché il modello di partecipazione al lavoro delle donne è cambiato. Le donne entrano nel mercato del lavoro più tardi, proprio nel momento in cui le vecchie generazioni ne uscivano, ma con un livello di competenze e di aspirazioni più alto e la voglia di rimanerci in futuro. Nonostante ciò, confrontando le generazioni, non diminuiscono le interruzioni per nascita dei figli e tra queste ne emergono di molte non scelte. Secondo le nostre rilevazioni circa 800 mila donne nel corso della loro vita sono state costrette a dimettersi dal lavoro perché erano incinta. Solo il 40 per cento ha poi ripreso a lavorare.
È un quadro desolante senza via d’uscita.
Tutt’altro, queste sono le criticità . Ma nella foto va inserita a pieno titolo la spinta delle donne, la loro forza. Donne che investono su se stesse in formazione, in cultura, che fanno sempre più tutti i tipi di lavoro anche quelli tradizionalmente più maschili. Non dimentichiamoci che dallo svantaggio siamo passati al sorpasso femminile nell’istruzione. Il che vuol dire che nonostante tutte le barriere le donne sono andate avanti, persino notevolmente: sono maggioranza all’università , fra i laureati, fra i diplomati. Hanno risultati migliori, voti più alti, e maggiori livelli di competenza dei loro coetanei.
Le donne vanno avanti e il paese torna indietro?
Le donne crescono ma non quanto potrebbero in base alle competenze e ai meriti, perché il Paese non le valorizza adeguatamente. Le criticità  sono molto forti e per correggerle è necessario investirci molto e per lungo tempo.
Problemi di conciliazione dei tempi di vita?
Non c’è dubbio. Donne troppo sovraccariche. I servizi per la prima infanzia sono ancora carenti, nonostante la crescita degli ultimi anni e costosi perché il 40 % circa è privato. Il part-time in Italia è cresciuto, ma soprattutto quello non scelto, con una quota doppia tra le donne italiane rispetto alle europee, il che vuol dire che viene utilizzato meno come strumento di conciliazione dei tempi di vita e più dal lato delle imprese. In più c’è il problema della nostra divisione di ruoli ancora rigida.
Com’è cambiata la divisione dei ruoli nel corso degli ultimi decenni?
È diminuita l’asimmetria dei ruoli all’interno della coppia, ma più perché le donne hanno tagliato un po’ di tempo per il lavoro di cura, che perché gli uomini lo abbiano aumentato. Le donne continuano ad essere molto sovraccariche e lavorano un’ora in più degli uomini, 9 ore al giorno se consideriamo lavoro di cura e lavoro retribuito.
E questo lavoro di cura chi lo fa?
Gran parte delle donne sono sovraccariche, 2 miliardi di ore di lavoro di cura sono prodotte dalle donne in un anno solo per persone al di fuori della propria famiglia, sono un pilastro del sistema di welfare. Ma comincia ad evidenziarsi il ruolo critico delle nonne, che stanno diventando le nuove donne-sandwich, parafrasando la definizione che Chiara Saraceno dava, in precedenza, riferito però alle donne con figli piccoli che si dovevano anche far carico dei propri genitori anziani. La speranza di vita si allunga, quindi gli anziani arrivano ad età  ragguardevoli, ma hanno anche bisogno di assistenza. La nonna in prospettiva dovrà  aiutare sempre di più la propria figlia o la propria nuora che lavora e non ce la fa a stare dietro ai propri figli piccoli e i propri genitori anziani ultraottantenni spesso non autosufficienti. Le nonne cominciano dunque ad essere sovraccariche, le figlie anche. E dunque la catena di solidarietà  femminile fra madri e figlie che lavorano rischia di spezzarsi. Dovranno essere messi in campo altri meccanismi per soddisfare i bisogni di cura emergenti, le donne non potranno più farsene carico come prima.

L’INTERVISTATA

Laura Sabbadini, statistica, studiosa delle trasformazioni sociali, dal 2000 assume il ruolo di Direttore centrale dell’istituto di statistica. Ha guidato in Italia il processo di rinnovamento radicale nel campo delle statistiche sociali e di genere a partire dal 1990, progettando e realizzando indagini di rilevanza sociale su condizioni e qualità  della vita. L’8 marzo 2006 le è stato conferito dal presidente della repubblica, Ciampi, l’onorificenza di Commendatore della repubblica. Sabbadini ha lavorato in numerosi gruppi internazionali presso l’Onu e la Commissione europea, sempre nel campo delle statistiche sociali e di ginere. Auitrice di numerose monografie, ha partecipato al lavoro della Commissione Pari Opportunità  e della Commissione Povertà .


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