Laureato, quarantenne iscritto al collocamento identikit del nuovo povero
Generazione mille euro al mese: ci hanno fatto libri e film per raccontare la condizione dei giovani d’oggi, precari in massa. In realtà , mille euro sono fin troppi: non sono molti i precari che riescono a mettere in fila 12 mila euro l’anno. Ma mille euro non sono solo una bella cifra tonda: quasi mille euro – esattamente 992 – è quanto ha speso mediamente, ogni mese, ogni italiano, adulto o bambino. È la spesa media mensile pro capite del 2010, dice l’Istat. Mutuo escluso. Fin qui, la generazione mille euro (se ci arriva) non sembra avere troppo da lamentarsi. Ma se vostro figlio guadagna mille euro e la sua compagna racimola solo qualche spicciolo, facendo la dog sitter (o viceversa) le cose cambiano: una famiglia di due persone con 992 euro al mese cade sotto la soglia delle statistiche: è ufficialmente povera, in uno dei Paesi più ricchi d’Occidente. Come del resto vostro figlio sapeva già .
I nuovi poveri, in Italia, hanno il passo svelto della gioventù. Prendete la fotografia della povertà che l’Istat ha pubblicato in questi giorni. Se la guardate da lontano, vedete quello che vi aspettavate di vedere. Chi sono i poveri? Le famiglie dei disoccupati o quelle in cui entra solo uno stipendio, oppure le famiglie numerose, o anche quelle in cui chi dovrebbe assicurare la minestra a tavola ha solo la licenza elementare, magari neanche quella. Spesso tutte queste cose insieme. Un quadro dipinto addosso, in misura sproporzionata, alle regioni del Mezzogiorno, soprattutto Calabria, Basilicata, Sicilia. Un quadro anche antico, che ci accompagna da molto tempo. In totale, le famiglie che l’Istat giudica povere sono l’11% del totale: 2 milioni 734 mila famiglie. In tutto, 8 milioni 272 mila persone, fra vecchi, adulti e bambini, il 13,8% della popolazione italiana.
Più o meno, sono le cifre del 2009: i poveri non sono aumentati. Ma se guardate la fotografia più da vicino e la confrontate con quella dell’anno prima, vedete che non tutto è rimasto uguale. Nel breve spazio di 12 mesi, le figure sono un po’ cambiate. Se escludiamo gli anziani, la quota più consistente di famiglie povere sono quelle in cui il capofamiglia ha fra i 35 e i 44 anni, l’età in cui restare in casa dei genitori diventa impossibile. Soprattutto, è aumentata dal 4,8 al 5,6% la percentuale di capifamiglia diplomati o laureati e ufficialmente poveri. Disoccupati o quasi, probabilmente: più di un terzo degli iscritti alle liste di collocamento ha il diploma o la laurea in tasca.
Mille euro, o 992, è una linea fin troppo cruda. Quasi metà della famiglie povere sono, in realtà , poverissime: sono cioè, se non ci sono figli, sotto gli 800 euro al mese. E non è che, a 1.100 o a 1.200 euro, le cose siano molto diverse da mille euro. Contando anche chi è a rischio immediato di cadere sotto la soglia, l’Istat calcola che in Italia una famiglia su 5 sia povera o “quasi povera”. E’ un dramma sociale, ma anche una zavorra economica: è difficile rilanciare un’economia che, come quella italiana, per quasi due terzi si nutre di consumi, se un consumatore su 5 è impegnato a contare le fette di pane. Soprattutto, se il resto dei consumatori – quelli che, insieme ai poveri, si spartiscono quel 55% del reddito nazionale che il 10% degli italiani più ricchi lascia agli altri – vede che il fondo della scala sociale è sempre più vicino, anche perché ci sono finiti i loro figli. E, contemporaneamente, avverte che, anche per loro stessi, la scala è diventata scivolosa. Il lungo ristagno dei redditi degli italiani, quasi congelati ai livelli degli anni ’90, ha lasciato cicatrici profonde. Da anni, la Banca d’Italia sottolinea il crescente senso di “vulnerabilità ” che pervade i ceti medi. I sondaggi dicono che una famiglia su tre arriva a fine mese, intaccando i risparmi. Le statistiche confermano: nel 1995, una famiglia italiana metteva da parte, mediamente, quasi il 22% di quello che guadagnava. Dieci anni dopo, eravamo scesi sotto il 16%, più o meno ai livelli dei tedeschi e dei francesi. Più o meno, francesi e tedeschi sono rimasti lì. Nel 2010, invece, gli italiani hanno messo da parte 12 euro, ogni 100 guadagnati. Nei primi mesi del 2011, sono scesi ancora, a 11 euro e mezzo. E’ una media, naturalmente. Secondo un recente rapporto, un terzo dei nuovi debiti viene fatto per saldare debiti preesistenti, in una spirale inquietante.
L’ascesa, fino agli anni ’80, dei ceti medi, sembra un ricordo lontano. Fra i ceti medi di allora e i nuovi poveri di oggi c’è un rapporto diretto, quanto meno psicologico. Per l’operaio, il piccolo artigiano o negoziante, che hanno mandato i figli all’università e adesso se li ritrovano in casa, disoccupati, mentre loro assottigliano il conto in banca è uno choc sociale. Per raccontare l’Italia di oggi, accanto a quel 20% di poveri e quasi poveri, mettete un recente sondaggio Demos dove, per la prima volta, il numero di intervistati che si dichiarava ceto medio (43%) era inferiore a quello di chi (48) si definiva «classe operaia o popolare».
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