L’avvertimento di Tremonti “Se cado io cade l’intero Paese”

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Giulio Tremonti in trincea. In queste ore di attacco della speculazione all’Italia, con i titoli bancari che precipitano e il differenziale tra Btp e Bund che tocca il record di 248 punti base, il ministro dell’Economia avverte il vuoto intorno a sé. E reagisce con rabbia.
In una giornata trascorsa sull’otto volante delle borse, «a fare il cambista per la Grecia», come scherza con i collaboratori, è dalle retrovie italiane che arriva il colpo più forte: «Ho scoperto stamattina, leggendo l’intervista di Claudio Tito a Berlusconi, di essere sotto attacco non solo degli speculatori ma anche della presidenza del Consiglio. Forse devo stare attento quando vado a palazzo Chigi».
Il ministro trascorre la mattinata da solo nel suo ufficio a via XX Settembre, mentre Roma si svuota lentamente. In maniche di camicia e bretelle, una tazzina di caffè e un bicchiere d’acqua sulla scrivania, scruta con preoccupazione gli indici che precipitano sul computer. Ma, appunto, sul tavolo c’è anche aperta l’intervista di Berlusconi a Repubblica, con quelle parole sferzanti sul ministro dell’Economia. Tremonti alza il telefono, si fa chiamare i maggiorenti del Pdl, conversa con alcuni ministri. S’informa, vuole capire il significato «interno» ed «esterno» dell’intervista. Ad ogni interlocutore ripete come un mantra la sua linea: «Attenti. Se cado io cade l’Italia, se cade l’Italia, un paese troppo grande per essere salvato, cade l’euro. È una catena».
Per quanto lo riguarda, non ha alcuna intenzione di dimettersi. Non se ne andrà  spontaneamente come spera qualcuno nel Pdl. «Io – spiega al telefono ai suoi colleghi – ho preso un impegno per portare a casa la manovra e, almeno fino a settembre, non posso andarmene. Sono io l’unico garante verso l’Europa». Un concetto che il ministro ripeterà  anche a palazzo Chigi direttamente a Silvio Berlusconi, nell’incontro (sembra propiziato anche da Giorgio Napolitano, preoccupato per le fibrillazioni nel governo) a cui partecipa anche Gianni Letta. Nel vertice a palazzo Chigi, durato poco meno di un’ora, viene siglata tra i due duellanti una sorta di tregua. Un armistizio che non dovrà  durare solo qualche giorno, ma estendersi almeno fino all’approvazione definitiva della manovra. Per mettere al riparo l’Italia dalla speculazione, come insistentemente chiede il capo dello Stato.
Il fatto è che Tremonti, a differenza che nel passato, non deve subire solo l’attacco del centrodestra e del Cavaliere. In gioco, stavolta, c’è la sua stessa reputazione politica, il suo onore. Il sospetto di essersi fatto pagare la casa dal collaboratore Marco Milanese, con soldi provenienti da illeciti, è oggetto di approfondimento su tutti i giornali. E pesa. L’interessato protesta con tutti la sua innocenza. «Sono al centro di questo doppio attacco, politico e finanziario. Ma io con questa storia di Milanese non c’entro niente, oltretutto questa persona non aveva incarichi nel ministero. Per quanto ne sapessi io, era una persona pulita». La presa di distanze dal suo ex braccio destro è netta, ma non basta. Resta la questione dell’appartamento in centro. «Ero soltanto un ospite a casa sua, in una casa che a Milanese serviva per le sue attività  sociali e per ricevere i suoi famigliari. Certo, ho capito di aver fatto comunque una cazzata e infatti me ne sono andato via dalla casa, l’ho detto subito». Un appartamento da 8500 euro al mese. Il ministro insiste: «Farò chiarezza su questo punto, ma comunque non accetto lezioni. Io faccio politica da un secolo e non sono mai stato sfiorato da un sospetto, vorrà  dire qualcosa? Sono abbastanza ricco da non dover chiedere niente a nessuno, tanto meno una casa. Io do in beneficenza, d’accordo con mia moglie, più di quanto riceva dallo Stato e dalla politica. Non mi faccio pagare la casa».
Tremonti ripensa a quanto sta accadendo in queste ore, al precipitare della situazione, all’esplodere dello scandalo Milanese. Si è convinto che ancora non sia tutto chiaro. «C’è una strategia politica, non giudiziaria, per colpirmi. Non è una cosa della magistratura». Una «strategia» molto pericolosa, a suo dire, per l’Italia. Per dimostrare quanto sia fondamentale che rimanga al suo posto, che non venga trascinato nella polemica, il ministro ricorda al suo staff quanto accaduto due giorni fa, quando un temporale sulla Capitale impedì l’atterraggio e Tremonti fu costretto a rinviare la conferenza stampa di presentazione della Finanziaria. «I mercati pensarono che ci fosse un problema politico e reagirono immediatamente». Ecco, l’Italia corre ancora su un filo sottilissimo. Questa è la ragione del pranzo a palazzo Chigi, della tregua siglata con Berlusconi. «Ma persino dopo il nostro incontro, dopo il comunicato del presidente del Consiglio, si sono diffuse voci di mie dimissioni. Voci giustificate, a dire il vero, da quell’intervista a Repubblica dove sembrava che il vero problema del governo fossi io. Così la speculazione è ripartita contro le banche italiane fino alla chiusura delle borse».
Invece Tremonti ha tutta l’intenzione di non schiodare dal ministero dell’Economia, nonostante tutte le manovre «interne». «Resto al mio posto, ci mancherebbe altro. Il pranzo con Berlusconi – riferisce al suo staff – è andato bene perché finalmente ha capito che, in questo momento, io sono l’unico garante della stabilità  finanziaria del paese e degli impegni sottoscritti con l’Europa». Insomma, nulla da fare per i suoi nemici del governo. Almeno fino alla fine dell’estate, fino all’approvazione della manovra, Tremonti si sente «obbligato» a restare in trincea. Ma l’ambizione dell’uomo non conosce limiti. Così, allentandosi la cravatta, si concede l’unica battuta di una giornata nera: «Temo, in realtà , che almeno io dovrò restare anche dopo il sì alla finanziaria». «Almeno io»…


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