L’America in stallo totale la destra avanti con i suoi tagli. Obama: un inutile palliativo

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New York. È lo stallo totale, a sette giorni dal “default” tecnico degli Stati Uniti un accordo per alzare il debito appare più lontano che mai.
E proprio questa paralisi ha costretto Barack Obama a un drammatico discorso alla nazione alle nove di sera (le tre di notte italiane). Anche se ieri la riapertura dei mercati non ha portato il temuto tracollo, quella cessazione dei pagamenti che continua ad apparire inverosimile agli investitori, è diventata decisamente più probabile.
Il 2 agosto il Tesoro avrà  esaurito il limite legale del suo indebitamento e se il Congresso non vota un nuovo tetto, tutti i pagamenti si fermano. Da ieri al Congresso di piani ce ne sono due: ma così distanti e inconciliabili che non sono l’inizio di una soluzione, bensì il riflesso immobile della spaccatura tra democratici e repubblicani. Barack Obama ha dovuto cancellare ogni manifestazione elettorale, raccolta di fondi, forse salterà  perfino la sua festa di compleanno (4 agosto): ma la sospensione delle attività  “politiche” non significa che lui sia tornato a fare il negoziatore. Al contrario, una conseguenza dell’incomunicabilità  tra i due partiti, è che il presidente ha dovuto rinunciare alla posizione super partes e da ieri si è “schierato” al 100% col suo partito. La giornata di ieri si è aperta con le Borse in calo ma senza agitazioni: niente tracolli, il dollaro perfino stabile rispetto all’euro, solo l’oro oltre i 1.600 ha confermato la corsa verso i beni-rifugio. Quasi “un grande sbadiglio”, com’è stato definito a Wall Street? Il rischio è che i mercati diano per scontato ciò che scontato non è: un rinsavimento dell’ultima ora. Ieri invece è andato in scena lo spettacolo opposto. John Boehner, presidente della Camera dove i repubblicani sono maggioranza, ha presentato il piano della destra: 1.200 miliardi di dollari di tagli al deficit (in 10 anni) tutti concentrati sui sacrifici nelle spese sociali, come pensioni e assistenza sanitaria agli anziani. Non un centesimo di tasse in più, «neppure l’abolizione di detrazioni e privilegi per i miliardari», osserva la Casa Bianca. A renderlo intollerabile per Obama c’è un altro aspetto: il piano Boehner dà  solo pochi mesi di “prolunga” al debito pubblico, appositamente vuole che si torni a discuterne l’anno prossimo in piena campagna elettorale. Obama lo ha detto chiaramente: un palliativo di pochi mesi non lo accetta, è pronto a mettere il suo veto. Non ce ne sarà  neppure bisogno. Perché se già  domani la Camera metterà  ai voti la manovra della destra, al Senato sono i democratici ad avere la maggioranza e lì il piano-Boehner non passerà . Il leader democratico al Senato, Harry Reid, ha presentato il suo contro-piano, ottenendo l’avallo pieno di Obama. Contiene 2.700 miliardi di risparmi spalmati anch’essi su dieci anni, e consentirebbe di alzare il tetto del debito fino al 2013. Non ci sono dentro “nuove tasse” in senso letterale. Ultimo tentativo di rilanciare il dialogo bipartisan, con un accorgimento linguistico i democratici parlano di “riduzione delle spese fiscali” per indicare quelle deduzioni e detrazioni che verrebbero eliminate in modo da recuperare gettito. Anche il loro piano è severo con il Welfare, ma cerca di controbilanciare i sacrifici chiamando anche i ricchi e le grandi imprese a contribuire. Le probabilità  che il piano-Reid passi alla Camera sono speculari a quelle del piano-Boehner al Senato: cioè minime. Il Fondo monetario internazionale lancia l’allarme: uno stallo sul debito e la conseguente cessazione di tutti i pagamenti del Tesoro americano (stipendi, pensioni, cedole sui titoli pubblici) avrebbe «pesanti effetti negativi nel mondo intero». Ma la reazione di ieri dei mercati, cinica o miope che fosse, ha dato ai parlamentari di Washington la sensazione che l’Apocalisse sia rinviata. Magari all’alba del 2 agosto.


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